XVIII Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica – Le nuove frontiere della negoziazione dei farmaci in Italia (Catania, 22 febbraio 2019)

Filippo Drago,
Direttore, BIOMETEC (Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche), Coordinatore Master di II livello in Discipline Regolatorie del Farmaco – Università degli Studi di Catania
Tendenze Nuove n.1 – 2019; 1-3: DOI: 10.32032/TENDENZE201903.PDF

 
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La Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica, già alla sua diciottesima edizione, ha discusso il tema delle sfide che attendono il sistema regolatorio italiano (nazionale e regionale) rispetto all’introduzione di terapie innovative che si distinguono dai modelli dei farmaci tradizionali (le cosiddette piccole molecole, small molecules), ma anche da quelli dei più recenti farmaci biotecnologici che già hanno posto il problema dell’applicazione di nuovi schemi di “negoziabilità”.

Il tema riguarda le nuove terapie geniche o cellulari, alcune delle quali sono state già negoziate dall’Agenzia Italiana del Farmaco (per esempio Strimvelis®, terapia genica per l’ADA-SCID o Holoclar® per la deficienza di cellule stromali del limbo oculare). Ma il futuro prossimo è costellato da una miriade di prototipi terapeutici che rappresentano un più avanzato livello di cure e per patologie certamente meno rare: terapie genico-cellulari (adoptive cell therapies) come la CAR-Tcell therapy, che è in corso di negoziazione per indicazioni onco-ematologiche, ma si prevede potrà essere applicata ad una vasta serie di patologie oncologiche, inclusi diversi tumori solidi; i tumor agnostic drugs, farmaci biotecnologici la cui indicazione non riguarda uno o più specifici tumori, ma una famiglia di patologie oncologiche caratterizzate unicamente da una comune mutazione genica, come il larotrectinib;, terapie genico-tissutali come quella per l’epidermolisi bollosa (per esempio, l’FCX-007 che consiste nella ingegnerizzazione genetica di lembi di cute del paziente e reimpianto di essi sullo stesso paziente); terapie con virus modificati come il talimogene laherparepvec, che consiste nella iniezione di herpes virus geneticamente modificati all’interno delle lesioni da melanoma rendendole più sensibili all’azione di un biotecnologico ad attività immunostimolante; terapie digitali, vere e proprie applicazioni per smartphone che in USA sono state registrate alla stessa stregua di terapie farmacologiche.

Il problema di fondo per questi prototipi terapeutici è proprio il fatto di non poter essere comparati a un benchmark, poiché essi stessi sono deibenchmarks. Ecco che si pone il problema della “negoziabilità” di queste terapie in un contesto contrattuale che nel corso degli ultimi venti anni è stato adattato dall’Autorità regolatoria a modelli che prevedevano sostanzialmente l’applicazione di meccanismi di rimborso in caso di inefficacia clinica o accordi di tipo finanziario che in molti degli esempi riportati risultano del tutto inapplicabili. Infatti, queste terapie prevedono per lo più interventi one-shot(ovvero, sono trattamenti che si effettuano in un’unica soluzione) che non permettono verosimilmente una verifica dell’efficacia come nel corso di un trattamento cronico e di conseguenza l’applicazione del modello del payment-per-performance. Inoltre, per le loro caratteristiche tecnologiche, determinano alti/altissimi costi che non consentono una dilazione del pagamento a verifica della loro efficacia (che si prevede molto elevata) ma almeno una congrua anticipazione per la copertura delle spese “tecniche” correlate alla produzione del trattamento stesso.

Per la “negoziabilità” di questi trattamenti bisognerà quindi introdurre nuovi modelli contrattuali. Le ipotesi formulabili in ambito oncologico includono, per esempio, un down-paymentall’effettuazione del trattamento one-shote il pagamento della quota restante in rate collegabili ai tempi di determinazione della “sopravvivenza libera da malattia” (progression-free survival) sulla base dei dati provenienti dagli studi registrativi. Un’altra ipotesi è quella del success fee, ovvero del pagamento del prezzo intero del trattamento ad un tempo convenuto che corrisponde a quello della rilevazione del minimo livello di “sopravvivenza totale” (overall survival) o, in sua assenza, della progression-free survivalin tempi concordati e comunque compatibili con la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (e la disponibilità del fondo dedicato nel caso di farmaci innovativi) e con le esigenze di cash-flowdell’Azienda farmaceutica.

Va da sé che l’argomento rappresenta uno dei nodi focali della politica sanitaria del nostro Paese, dato che esprime pienamente il problema della ricerca di equilibrio tra la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e l’impatto che su questo viene generato dal costo di farmaci e trattamenti innovativi. La politica dell’accesso ai trattamenti innovativi citati in premessa ha una forte ricaduta a livello regionale non solo perché essi saranno gestiti sostanzialmente solo a livello ospedaliero, ma anche perché la loro praticabilità implica l’identificazione di centri di riferimento o di eccellenza che obbligatoriamente devono rispondere a criteri tecnico organizzativi che al momento solo alcuni ospedali del Centro-Nord possiedono. Si auspica, quindi, un intervento mirato perché Regioni con la necessaria expertise identificabile in diversi centri clinici di comprovata e riconosciuta eccellenza non rimangano esclusi dal circuito di fattibilità di queste terapie.


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