Il valore della qualità di vita e della percezione del malato: l’esperienza dell’oncologo clinico

Camillo Porta,
IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia


Quando la qualità di vita diventa fattore di scelta terapeutica in oncologia? Ad oggi, la risposta più onesta che si può dare a questo quesito è: mai… o quasi.
Ma procediamo con ordine, e cerchiamo di capire come mai, al momento, non possiamo dare risposte alternative a questo quesito e come, invece, la situazione potrebbe modificarsi nel prossimo futuro.
Come oncologi, tendiamo a valutare gli esiti del nostro agire all’interno di categorie spesso molto rigide; in particolare, nel valutare l’efficacia dei nostri trattamenti, facciamo riferimento a determinanti il più delle volte inequivocabili, come nel caso della sopravvivenza globale (overall survival, OS), facilmente calcolabile e quindi estremamente oggettiva.
Per quanto, soprattutto nell’epoca dei farmaci a bersaglio molecolare, end-points alternativi all’OS (e spesso di essa surrogati) come progression-free survival (PFS) e, soprattutto, risposte obiettive, abbia un po’ perso in termini di riproducibilità e (soprattutto per quanto riguarda le risposte) anche di rilevanza pratica, quando affrontiamo end-points di efficacia, abbiamo solitamente pochi problemi; ci è chiaro cosa vogliamo sapere, come dobbiamo valutare questi end-points e cosa fare di tali informazioni nell’ambito del stro programma terapeutico.
Le cose sono invece decisamente diverse, e me oggettive, allorché si affronta problematiche di tollerabilità.


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