Longevità bifronte tra minacce e opportunità

Odile Robotti


Amministratore unico di Learning Edge (http://www.learningedge.it/) e Responsabile del progetto Kaumatua (www.kaumatua.org) Tendenze Nuove n.1 – 2020; 3-12 DOI: 10.32032/TENDENZE202001.PDF
 
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La popolazione cambia forma

La redistribuzione demografica avvenuta dagli anni 50 ad oggi è senza precedenti tanto che sembra averci lasciati senza parole. Ci ostiniamo, infatti, a parlare di piramidi demografiche quando ormai la forma che meglio rappresenta la popolazione mondiale è la cupola e sappiamo con certezza che nel 2050 sarà un alveare (figure 1 e 2). Due fenomeni sono responsabili del cambiamento: la longevità, che fa aumentare gli anziani, a cui si deve l’ingrossamento progressivo della parte alta della piramide e la diminuzione del tasso di natalità, che sta riducendone la base. L’effetto combinato porta all’innalzamento dell’età media della popolazione, cioè al suo invecchiamento. In Italia, per dare un riferimento, l’età media è salita da 30 anni nel 1950 fino ai 45 anni oggi. Interessante notare che il fenomeno riguarda ormai la maggioranza dei Paesi e non più soltanto i “soliti noti”, anzi, molti Paesi tradizionalmente giovani, invecchiano a ritmi (figura 3) che metteranno a dura prova la loro capacità di adattamento e le loro finanze (infatti, diventare vecchi prima di aver accumulato un po’ di ricchezza è un problema per i Paesi come per gli individui).

Cercasi Greta

Giornalisticamente, si sente definire l’invecchiamento globale con termini come “agequake” o “silver tsunami”. Si tratta però di metafore fuorvianti perché, diversamente dai fenomeni naturali citati, nell’invecchiamento della popolazione non vi è nulla di improvviso e, come vedremo, nemmeno necessariamente di infausto. I demografi non avevano certo mancato di individuare i cambiamenti, quello epidemiologico (siamo passati da una prevalenza di malattie trasmissibili a una di malattie cronico-degenerative) e quello legato al numero di figli che le coppie scelgono di avere, che avrebbero portato alla trasformazione delle piramidi. Quello che è mancato non è stata, quindi, l’identificazione delle forze in gioco e del loro prevedibile impatto, bensì una piena presa di coscienza collettiva e politica del cambiamento. Di conseguenza, abbiamo riflettuto ancora troppo poco sulle possibili soluzioni per rendere l’invecchiamento della popolazione sostenibile. Per ricevere la dovuta attenzione e accendere i cuori avrebbe probabilmente bisogno di trovare la propria Greta Thunberg.

Longevity shock

In passato i demografi hanno sempre sbagliato per difetto (di circa 3 anni) nel prevedere l’aumento dell’aspettativa di vita. Un esempio di questo avvenne negli anni 90 del secolo scorso, quando l’avvento dei farmaci antiretrovirali aumentò drasticamente, e in modo non previsto, l’aspettativa di vita delle persone affette da HIV. Fu, naturalmente, una vittoria della medicina e una benedizione per gli ammalati. Tuttavia, da un punto di vista economico, per l’industria assicurativa e per gli enti che erogavano pensioni, si parlò di longevity shock (termine che indica il protrarsi della vita dei soggetti che godono di un vitalizio oltre le medie di aspettativa di vita loro attribuite). Questa differenza di prospettive riguardo alla longevità, positiva umanamente, ma potenzialmente negativa finanziariamente, introduce uno dei temi chiave che la caratterizzano: la sua valenza, almeno apparentemente, duplice.

Opportunità individuale e minaccia collettiva

Provate a rifletterci: quando pensiamo all’aumento (circa 14 anni dal secondo dopoguerra ad oggi) dell’aspettativa vita, che in Italia è tra le più alte del mondo (80.8 anni per gli uomini e 85.2 per le donne), abbiamo una reazione ambivalente. A livello personale infatti la consideriamo, in generale, favorevolmente, perché la riferiamo a noi stessi e a chi ci è caro, mentre a livello collettivo ci preoccupa, perché ne temiamo gli effetti sul Prodotto Interno Lordo (tutti i beni e i servizi finali prodotti sul territorio di un Paese), sul sistema pensionistico e sulla spesa sanitaria. In verità, anche a livello individuale vi sono dei rischi legati alla longevità se questa porta con sé perdita di autonomia e se le risorse allocate per farvi fronte risultano insufficienti, ma spesso sono sottostimati.

Certamente, l’invecchiamento pone delle sfide. Una popolazione che invecchia, a parità di altre condizioni, ha l’effetto di diminuire il Prodotto Interno Lordo: se diminuisce il numero di lavoratori, diminuisce ciò che producono (le stime della Banca Centrale Europea parlano di una possibile riduzione nell’eurozona, a causa dell’invecchiamento, fino al 4.7% nel lungo pariodo). Inoltre, l’invecchiamento aumenta l’indice di dipendenza (numero di persone oltre i 65 anni per ogni 100 lavoratori) e questo, superata una certa soglia, mette a rischio il sistema pensionistico. Già oggi l’Italia registra il dato peggiore d’Europa: 34.8 pensionati per ogni 100 lavoratori. Infine, se le persone vivono più a lungo, i sistemi sanitari nazionali spendono di più (anche se “quanto” di più dipende dalla salute degli anziani). Alcune condizioni, però, potrebbero contrastare queste tendenze. La produttività pro-capite, per esempio, potrebbe aumentare grazie alle tecnologie e a una migliore organizzazione dei processi. Inoltre, in aggiunta ai flussi migratori in entrata, potrebbero contribuire ad aumentare il numero di lavoratori disponibili nell’economia le donne (attualmente in Italia solo il 49% lavora, in Europa la media è oltre il 62%) e gli anziani stessi, che potrebbero decidere di lavorare dopo l’età pensionabile (in alcuni Paesi già oggi vengono facilitati e incoraggiati a farlo). Infine, la spesa sanitaria potrebbe aumentare meno del previsto se l’approccio alla cura fosse ripensato con maggiore enfasi sulla prevenzione (attraverso stili di vita più sani, per esempio), con l’obiettivo di mantenere l’autonomia degli anziani il più a lungo possibile, e se si andasse verso una rete integrata di servizi a loro destinati. Resta il fatto che l’invecchiamento della popolazione innesca effetti economici potenzialmente negativi. Forse sono in buona parte superabili, ma a patto che si intervenga con azioni articolate.

E se fosse un’opportunità per tutti?

È anche interessante esplorare il rovescio della medaglia. Gli over- sessantenni, già quasi un miliardo nel mondo (se fossero un Paese sareb- bero terzi, dopo Cina e India), diventeranno 1.4 e 2.1 miliardi nel 2030 e nel 2050 rispettivamente. La loro crescita numerica è più alta di quella di qualsiasi altro gruppo demografico e, da un punto di vista economico, hanno un potere di spesa enorme: secondo Euromonitor raggiungerà quest’anno i 12 trilioni di dollari. Il trend è destinato a continuare, tanto che si prevede che metà circa della futura crescita nei consumi verrà da loro. Con questi numeri, gli adulti maturi e anziani dovrebbero essere oggetto di molte attenzioni, ma ecco un primo paradosso “nascosto” sotto gli occhi di tutti: la pubblicità e l’offerta commerciale si rivolge quasi esclusivamente alla popolazione più giovane. Insomma, nell’era definita “dell’uomo centenario”, siamo giovanilisti, e questo ci porta a “ignorare” chi è maturo. Anche se qualcuno sta iniziando ad accorgersi degli over-65 (per esempio qualche casa di moda ha scelto donne over-65 per pubblicizzare abbigliamento, anche intimo, e accessori), si tratta ancora di eccezioni. Gli anziani sembrano essere invisibili e non solo nella comunicazione di marketing: un’indagine dell’Intelligence Unit dell’Economist rivela che solo il 31% delle aziende ha preso in considerazione l’incremento della longevità nel pianificare le vendite. Come vedremo, una dimenticanza che costa cara. Ma ciò che colpisce ancora di più è che perfino le aziende che hanno gli adulti maturi come target primario, sembrano avere un’idea stereotipata e superata dell’invecchiamento. Lo si deduce dal fatto che offrono loro prodotti spesso poco accattivanti mirati a soddisfare solo il bisogno funzionale. Pensate per un attimo agli occhiali da vista (che hanno come target persone di tutte le età) siano diventati un articolo di moda con il quale dare personalità al viso e di cui esiste un’offerta molto ampia, diversificata e lucrativa per i produttori (per inciso, la stessa cosa sta avvenendo con gli apparecchi ortodontici ormai colorati e decorati). Fate il confronto con l’apparecchio acustico, il cui target tipico è l’anziano: l’evoluzione del prodotto è stata solo sul fronte della funzionalità. Quanti apparecchi acustici in più si potrebbero vendere con un approccio che indirizzi anche altri bisogni?

Cinquanta sfumature di grigio

Eppure, l’invecchiamento non è più quello di una volta e, a dire il vero, forse è sempre stato un po’ diverso dalla rappresentazione appiattita che se ne dava. Si tratta infatti di un processo multifattoriale in cui hanno rilevanza anche fenomeni estrinseci (per esempio quelli ambientali e lo stile di vita) ed elementi psicologici (legati per esempio ad eventi della vita, quali andare in pensione o diventare nonni). Ne consegue che la rappresentazione dell’anziano “a taglia unica”, probabilmente inadeguata n dall’inizio, lo sia diventata ancora di più ora che la vecchiaia si è allungata. Inoltre, l’età ha perso, almeno in parte, il suo valore normativo: oggi un ultra-sessantenne può rimettersi sui banchi, avere avventure sentimentali, fare sport impegnativi e vestirsi come vuole senza suscitare lo stupore e la riprovazione di una volta. Ci sono, insomma, tante sfumature di grigio che nell’era della longevità bisogna imparare a conoscere.

Età super-adulta

Ferme restando le differenze individuali, possiamo dire che gli anni di vita aggiunti abbiano creato per la maggioranza delle persone una fase aggiuntiva che si è inserita in buona parte subito dopo l’età adulta e non alla fine della vita. Così, anziché prolungarsi solo la vecchiaia avanzata, si è prolungata soprattutto l’età adulta. Il sociologo Francesco Morace ha chiamato questa nuova stagione della vita età super-adulta, usando un prefisso che nella lingua italiana indica l’andare oltre, ma che conferisce anche valore superlativo esprimendo superiorità. Ho trovato questa scelta linguistica interessante perché supporta l’idea di invecchiamento come evoluzione (e non diminuzione) che trovo più aderente alla realtà attuale e più adatta ad aprire opportunità.

Svecchiamo l’invecchiamento

La rappresentazione, chiamiamola così, “declinista” dell’invecchiamento ce lo fa vedere come una progressiva perdita di capacità che porta con sé un cumulo di problemi da risolvere, in particolare legati alla salute (se dovessimo basarci sulle pubblicità, la perdita dell’udito sembrerebbe l’evento più significativo della vecchiaia). Eppure, dovrebbe essere noto a chi si occupa di marketing che la maggior parte degli anziani non ama ammettere di essere “bisognosa” e di “perdere colpi”, anche quando è oggettivamente vero. Sono rimasti famosi i fallimenti di prodotti (per esempio cibi omogenizzati per anziani) il cui acquisto equivaleva implicitamente ad ammettere di avere un problema (nel caso specifico, non poter masticare. Sappiamo inoltre che limitarsi a cercare di risolvere i problemi fa perdere buone opportunità: nel caso degli over-65, una popolazione con buona capacità di spesa, un errore molto costoso. Come hanno già segnalato tanti studi, infatti, gli adulti maturi sotto-consumano per mancanza di offerta. Il risultato sono miliardi di consumi persi. I 12 trilioni attualmente spesi da questa popolazione potrebbero essere di più se riuscissimo a soddisfarne i desideri e assecondarne le aspirazioni. Per riuscirci, però, bisognerebbe anzitutto comprenderli meglio, cioè capire come sia questo nuovo invecchiamento, che non ha precedenti nella storia né modelli di ruolo. La longevità, come un dono arrivato senza le istruzioni per l’uso, ci richiede uno sforzo per poterne godere.

Il new ageing

Anzitutto, ora che l’età matura dura parecchio, è necessario segmentarla: si distingue infatti ormai tra young-old (fino ai 75 anni), middle-old (dai 76 agli 85) e oldest-old (oltre gli 85 anni).

Partiamo dagli young-old di oggi, che, come rivela l’indagine Un ritratto dei Nuovi Senior: Generazioni a Confronto (2016), in gran parte non si sentono anziani (lo dichiara circa l’85% degli uomini e il 70% delle donne). Probabilmente, ciò è vero anche per un buon numero di middle-old. Ciò non significa che non abbiano bisogni specifici legati all’età, semplicemente che, se la comunicazione si rivolge a loro come anziani, penseranno che non li riguardi. D’altra parte, young middle old non si identificano nemmeno nei giovani-adulti onnipresenti nelle pubblicità per varie ragioni, tra cui che le esigenze, preferenze e aspirazioni sono spesso forgiate dalla generazione di appartenenza e dalla fase della vita in cui ci si trova.

Il nuovo motore dei consumi

I beni e i servizi che possono essere offerti a young middle old sono numerosi: vanno dalle futuristiche tecnologie indossabili, per esempio quelle che mantengono e potenziano il funzionamento dei muscoli e della struttura scheletrica (pensate a un body da indossare sulla pelle che abbia incorporata della tecnologia), a prodotti e servizi sempreverdi come la moda, i viaggi e la ristorazione. Tutto ciò, è un punto fondamentale, andando incontro ai loro gusti peculiari (l’appartenenza a una generazione e l’età sono dei differenziatori quando si tratta di preferenze), ma senza sottolineare che si tratta di prodotti per persone mature. Young middle-old potrebbero diventare un motore dei consumi, se riuscissimo a proporre loro prodotti e servizi adatti con la giusta comunicazione.

E gli oldest-old? In questa fascia di età, almeno per ora, le esigenze diventano un po’ differenti. Se è vero che qualcuno conduce ancora una vita attiva socialmente e connessa, molti iniziano ad avere qualche limitazione, che però, almeno fino a un certo punto, non necessariamente porta a una vita limitata se si possono adottare rimedi. A livello individuale, oltre alla salute, in uiscono sull’autonomia l’atteggiamento, il gruppo sociale di riferimento, la rete amicale e familiare di supporto su cui si può fare affidamento e la capacità di spesa (per aiuti domestici, cure, prevenzione, ecc.). Fornire servizi di supporto agli oldest-old è un’area di business ancora poco sfruttata, ma con un ottimo potenziale: anche questo potrebbe essere un motore dell’economia. Se le funzioni quotidiane non sono un percorso a ostacoli, anche gli oldest-old possono restare attivi, autonomi e inseriti nella propria comunità più a lungo. Servono servizi e prodotti pensati per loro, luoghi age- friendly (con sedute frequenti, gradini non troppo alti, servizi di socializzazione e supporto, ecc.) e aziende desiderose di adottare piccoli ma utili accorgimenti (per esempio i supermercati Tesco, in UK, hanno attaccato una lente d’ingrandimento a tutti i carrelli). Infine, quando i problemi aumentano in numero e grado, il desiderio principale degli oldest-old è quello di restare a casa propria il più a lungo possibile. A questo scopo può contribuire significativamente la medicina digitale che, usando smartphone e tecnologie indossabili molto accessibili permette all’anziano (e non solo) di ricevere terapie, consigli e indicazioni (per esempio di consultare il medico quando rileva dati anomali) senza dover affrontare spostamenti, con una costanza di monitoraggio e una prontezza di intervento difficilmente raggiungibili altrimenti fuori da una struttura (sugli sviluppi della medicina digitale si veda: Salute Digitale, la corsa è già iniziata…, Tendenze nuove – 2/2019). Infine, l’Ambient Assisted Living (AAL) cioè l’insieme di soluzioni tecnologiche destinate a rendere attivo, intelligente e cooperativo l’ambiente in cui si vive (es. pavimenti che segnalano cadute a una centrale), è efficace nel sostenere la vita indipendente e nel fornire sicurezza. Come la medicina digitale, l’AAL può stimolare investimenti e consumi.

L’unica risorsa naturale in aumento sul pianeta

Come diceva Henry Ford: “Che tu pensi di farcela o di non farcela… avrai comunque ragione”. Intendeva che le nostre credenze influenzano le nostre azioni e queste, a loro volta, hanno un ruolo determinante sui risultati, positivi o meno, che raggiungiamo. Analogamente, potremmo dire che, sia che vediamo la longevità come minaccia, sia che la vediamo come opportunità…avremo comunque ragione. In altre parole: credere che gli anziani siano un problema, e non possano essere invece parte della soluzione, contribuisce a far avverare la profezia negativa. Per affrontare in modo positivo l’era dell’uomo centenario mi pare più promettente partire dalla constatazione di Laura Carstensen, direttore fondatore dello Stanford Center on Longevity: gli anziani sono l’unica risorsa naturale in aumento sul pianeta. Una semplice quanto lampante verità che tendiamo a rimuovere.

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