Paola Roberta Boscolo1 e Elio Borgonovi1, 2
1CERGAS, SDA Bocconi, Milano; 2Fondazione Smith Kline, Verona
Tendenze nuove, Numero Speciale 3 2021; 3-4: DOI: 10.32032/TENDENZENUOVENS032021PREFAZIONE.PDF
Il ritmo e la capacità dirompente dell’innovazione in medicina da sempre ne fanno un ambito di studio affascinante. Nuove molecole, o l’utilizzo di molecole esistenti per nuovi scopi (drug reporpusing), come miglioramenti nelle tecnologie diagnostiche e di cura, nuovi approcci e percorsi terapeutico-assistenziali, si susseguono con una frequenza sempre maggiore, ponendo sfide importanti a tutti gli attori della sanità. Sfide per la sostenibilità economica, ma soprattutto per i comportamenti e le scelte di servizio. Aziende sanitarie, fornitori, professionisti, pazienti e famiglie devono fare i conti con un forte dinamismo nei modelli di servizio, dettato non solo dal coredell’innovazione (nuovo farmaco o tecnologia che sia), ma soprattutto dai nuovi ruoli e competenze che si configurano, dai setting di cura abilitati dall’innovazione, con un bisogno continuo di produrre e analizzare le evidenze necessarie a supportare i cambi di paradigma. La digitalizzazione, l’aumento delle cure domiciliari o il maggior ricorso all’auto-cura possono decollare solo nel momento in cui siano comprovati ed accertati i relativi vantaggi clinici, economici, di qualità della vita e delle esperienze di cura.
Gli studi economici si sono troppo spesso focalizzati sulla diffusione delle innovazioni, vedendo l’adozione dell’innovazione come una scelta binaria, senza entrare nel merito dei processi di adozione e implementazione. La copiosa letteratura ci racconta infatti come alcune innovazioni si siano diffuse in una determinata popolazione di riferimento, con quale velocità e grazie a quali fattori propulsivi o ostacolanti. Solo negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza circa l’importanza di comprendere i percorsi di diverse organizzazioni, e le azioni di medici, infermieri e pazienti nello sperimentare e routinizzare le innovazioni.
Così dall’incontro di diverse discipline, quali il management, l’economia sanitaria, la scienza delle professioni, la scienza dell’informazione, è nata la Scienza dell’Implementazione (Implementation Science, IS) che porta, tanto nei contesti organizzativi quanto nei centri dedicati alla ricerca clinica, un nuovo approccio di raccolta e misurazione delle evidenze collegate all’introduzione di nuove soluzioni. Aumenta la sensibilità per l’efficacia interna ed esterna, per gli studi osservazionali prospettici e non necessariamente per la generalizzabilità dei risultati, confermando le influenze del contesto di adozione tanto care agli studi manageriali. L’implementation science (IS) si è tradotta pertanto in diversi modelli (framework) di supporto alle strategie di chi adotta, implementa, usa e porta a regime un’innovazione, se efficace. Interessante notare come l’IS porti nella ricerca clinica aspetti e metodologie nuove che abbinano alla misurazione quantitativa degli outcome, un’analisi qualitativa dei processi e delle percezioni di utilizzatori e utenti. Molte innovazioni nel real-world falliscono infatti non tanto per la mancanza di evidenze cliniche, ma per le barriere all’implementazione che tipicamente hanno poco a che fare con le caratteristiche dell’innovazione stessa, ma molto più con i valori, le preferenze, le routine e la cultura prevalente. L’IS sdogana l’approccio asettico della ricerca clinica ascoltando la voce di chi ne fa esperienza.
Il presente lavoro propone una descrizione inedita dell’IS, con una disamina attenta dei principali modelli teorici disponibili in letteratura, d’ispirazione per imprese e aziende sanitarie che stiano valutando quale sia la strategia e il percorso di implementazione più adeguato ad una determinata innovazione. L’unico rischio dell’IS è che i modelli e gli schemi proposti dalla letteratura si traducano poi in percorsi di adozione normativi delle innovazioni, minutamente e rigidamente dettagliati, che potrebbero limitare le forme di collaborazione naturali e spontanee registrate i contesti non-controllati e più creativi.
D’altro canto percorsi organici e non controllati hanno mostrato nella pratica una forte instabilità nei percorsi di adozione; si suggerisce pertanto il giusto equilibrio tra programmazione, guidata dall’IS, e sperimentazione, come auspicio per una maggior ricettività e capacità di innovazione dei sistemi sanitari.
Il modo migliore per evitare il rischio è quello di intervenire sulla cultura di coloro che sono chiamati a proporre e gestire processi di innovazione. L’innovazione delle conoscenze scientifiche, tecnologiche gestionali, organizzative e delle politiche di tutela della salute è un processo che deve essere governato da persone consapevoli dei benefici, ma anche delle difficoltà che devono essere affrontate e superate con rigore metodologico. Il presente contributo si propone come strumento utile per diffondere questa cultura da utilizzare specialmente in iniziative formative (life long learning) per professionisti e manager che hanno posizioni di responsabilità in istituzioni pubbliche e private.