Velia Bartoli
Ricercatore di Statistica, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Università di Roma “La Sapienza”
Tendenze Nuove, Numero 1 – 2022; 1-10: DOI: 10.32032/TENDENZENUOVE20220102.PDF
Note introduttive e scopo del lavoro
È generalmente noto che, in conseguenza del prolungato calo della mortalità e soprattutto della natalità, il fenomeno dell’invecchiamento interessa da molti anni a questa parte la quasi totalità delle popolazioni dei paesi a sviluppo avanzato. Pertanto, l’analisi della struttura demografica della popolazione e la sua evoluzione nel tempo, sono di fondamentale importanza per il dimensionamento e la pianificazione dei servizi socio-sanitari.
La diversità delle patologie che interessano le varie classi di età della popolazione, implica la necessità di adattare l’offerta sanitaria alla domanda di assistenza che ne deriva, per cui la differente struttura per età presente nelle regioni, dovrebbe riflettersi sulla ripartizione delle spese destinate alla sanità. In particolare, nella pianificazione dei servizi influisce in modo determinante la percentuale di popolazione “fragile”: vale a dire gli anziani (in età 65 e oltre) e principalmente i cosiddetti “grandi vecchi” (85 anni ed oltre). Infatti, tali categorie di persone sono, come ben si comprende, quelle maggiormente esposte al rischio di malattie gravi e invalidanti che richiedono assistenza e impegni mirati da parte delle strutture sanitarie1.
Il mondo della cronicità, in particolare per le classi di età più anziane della popolazione, è un’area in progressiva crescita, che comporta un sempre maggiore impegno di risorse, richiedendo continuità di assistenza per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali2. Le condizioni di salute che caratterizzano le varie fasce di età della popolazione fanno sì, pertanto, che l’offerta sanitaria debba essere diverfisificata a seconda del target di popolazione a cui si rivolge. Quindi, per una programmazione dei servizi socio-sanitari e assistenziali che sia efficace ed efficiente, sarebbe fondamentale monitorare nel tempo la composizione per età della popolazione3. Sembra dunque sostanziale ritenere che l’invecchiamento demografico debba esercitare una basilare in uenza su fenomeni assistenziali quali la disponibilità e la fruizione di strutture di tipo ospedaliero.
Pertanto, scopo del presente lavoro, dopo aver esaminato i principali indicatori di invecchiamento demografico, è appunto quello di indagare, attraverso un procedimento di analisi statistica, le relazioni che legano il fenomeno dell’invecchiamento demografico alla disponibilità e all’utilizzo di strutture e servizi sanitari.
Per quanti care i suddetti fenomeni, sono stati utilizzati, in corrispon- denza delle varie regioni, quattro tipici indicatori di interesse demogra co e sociale: la percentuale di ultra85enni rispetto alla popolazione in totale, lo stock “per 1000 abitanti” di posti letto in istituti di cura, la degenza me- dia (espressa in giorni), nonché il cosiddetto tasso di ospedalizzazione, an- cora commisurato a 1000 abitanti4.
La ricerca ha riguardato le regioni italiane e l’anno di osservazione 2019: tale anno è infatti il più recente, i cui dati sanitari possano ritenersi ancora non perturbati dagli effetti della pandemia dovuta al coronavirus.
Cenni metodologici
In conseguenza di quanto sopra accennato sono stati presi in considerazione, in corrispondenza alle varie regioni e all’anno in esame, i valori di quattro tipi di indicatori statistici, così da rappresentare nel loro insieme quattro distinte variabili regionali.
La prima di dette variabili è di tipo demografico e sarà nel seguito indicata col simbolo “V”; in ciascuna regione essa rappresenta la percentuale in età 85 e oltre rispetto alla popolazione in totale. È evidente che tale aliquota costituisce, come già detto in precedenza, una misura quanto mai valida del grado di invecchiamento del collettivo cui è riferita: d’altro canto, nel presente lavoro essa è stata prescelta non solo per la facilità di calcolo ma anche per l’immediatezza del suo significato.
Le altre tre variabili qui studiate sono invece di genere sanitario, sicché saranno successivamente tutte e tre designate dal simbolo “S”. La prima è costituita dal “tasso di ospedalizzazione”, cioè l’ammontare annuale di ricoveri, riportato a 1000 abitanti (cfr. nota (b) in tabella 2). La seconda è co- stituita dalla degenza media espressa in giorni (cfr. nota (c) in tabella 2), la terza è rappresentata dagli stock regionali di posti letto in istituti di cura, sia pubblici che privati (cfr. nota (d) in tabella 2), il cui ammontare è ragguagliato alla cifra standard di 1000 abitanti. Dovendosi effettuare un’analisi comparativa, su scala regionale, dei livelli differenziali di incidenza relativi alle quattro suddette variabili, è stato anzitutto necessario stabilire tra esse un criterio di “antecedenza logica”: questa deve necessariamente essere attribuita alla variabile concernente l’invecchiamento demografico, stante che, come ovvio, i fenomeni della morbilità e della mortalità riguardano massimamente le età più avanzate. Consegue, da quanto detto, che la rappresentazione grafica sul piano cartesiano richiede che i valori della variabile demografica, da considerare come “indipendente”, siano riportati sull’asse delle ascisse, mentre quelli delle variabili “dipendenti” di tipo sanitario si collocano sulle ordinate. Pertanto, siffatta con gurazione è appunto quella adottata nelle figure 1, 2 e 3 riportate appresso.
Le elaborazioni nalizzate alla determinazione dei valori “teorici” contenuti nella tabella 2 hanno fatto impiego del criterio statistico della cosiddetta “regressione lineare”, sicché, facendo riferimento alla rappresentazione grafica, si è operata un’interpolazione rettilinea – seguendo l’usuale criterio dei “minimi quadrati” – sulla “nuvola di punti” corrispondenti alle coppie dei valori regionali.
I valori “teorici” della tabella 2 rispondono dunque a un’ipotesi astratta di linearità, sicché possono essere determinati facendo ricorso alle usuali tecniche statistiche di regressione lineare cui si è fatto cenno.
Principali risultati
Le trasformazioni demografiche e sociali intervenute negli ultimi decenni hanno introdotto cambiamenti molto significativi anche nella struttura della popolazione secondo l’età.
In termini di invecchiamento la situazione delle regioni italiane appare alquanto differenziata (tabella 1). Nell’anno considerato la percentuale di popolazione di età 65 e oltre, rispetto al totale, risulta in Italia5 pari a 22,89%. La regione con il primato dell’invecchiamento è la Liguria che presenta una percentuale pari a ben il 28,56; ma valori molto elevati riguardano anche Friuli-Venezia Giulia (26,23%) e Umbria (25,64%). Per contro il valore più basso spetta alla Campania (18,79%), chiaramente in ragione di una natalità ancora alquanto sostenuta in epoche abbastanza recenti.
Per quanto riguarda la popolazione dei “grandi vecchi” (85 anni ed oltre), in Italia nel 2019 ha raggiunto circa i 2,1 milioni di unità, pari al 3,57% del totale.
L’utilizzo di tale indicatore è andato diffondendosi nel tempo: l’aumento della longevità alla quale si è assistito negli ultimi decenni, ha infatti comportato una crescita sia in termini assoluti sia relativi non solo della popolazione anziana nel suo complesso, ma anche della sua parte più invecchiata. Focalizzare l’attenzione sugli over 85 consente proprio di analizzare il segmento di popolazione anziana più fragile maggiormente esposto, come ricordato precedentemente, al rischio di malattie gravemente invalidanti, che richiedono assistenza e interventi mirati da parte delle strutture sanitarie.
Anche in questo caso è possibile notare considerevoli differenze geografiche: in Liguria, dove rispetto alle altre regioni la struttura per età risulta più sbilanciata verso le classi di età più avanzata, tale contingente rappresenta ben il 5,13%, seguono l’Umbria (4,50%) e il Molise (4,46%); valori sensibilmente inferiori si riscontrano in Campania (2,48%) e in Sicilia (3,09%).
Nella terza colonna della tabella 1 sono stati considerati i valori regionali dell’indice di vecchiaia, fornito dal rapporto percentuale tra l’ammontare della popolazione in età 65 anni e oltre e quello delle età giovanili da 0 a 14 anni. Questo tasso fornisce ulteriori informazioni sulla struttura per età e consente comparazioni tra le diverse realtà territoriali. In particolare, valori superiori al 100% indicano che gli anziani sono più dei giovani e viceversa. Sull’indice si riflette l’andamento opposto rilevato per i due segmenti di popolazione che lo compongono: da un lato il numero di anziani che continua ad aumentare e dall’altro quello dei giovani che diminuisce come conseguenza della fase di forte denatalità che interessa il nostro Paese negli ultimi quarant’anni. Mentre in Italia tale indicatore è pari al 174,01%, su scala regionale, uno sguardo d’insieme mette subito in risalto, come è logico, il pronunciato invecchiamento della Liguria (257,33%), seguita dal Friuli-Venezia Giulia (218,34%) e dal Molise (217,91%). Viceversa, i valori più contenuti riguardano la Campania (129,64%) e il Trentino-Alto Adige (139,14 %).
È possibile analizzare ulteriormente le variazioni demografiche della popolazione italiana attraverso l’indice di dipendenza strutturale, ottenuto dal rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e oltre 64 anni) e la popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Questo indice, che esprime, evidentemente, quanti individui ci sono in età non attiva ogni cento in età attiva, è utile a fornire informazioni sull’onere potenziale gravante sulla popolazione in età lavorativa. Al di sopra della media nazionale (56,43%) ritroviamo come al solito la Liguria (65,72%) e il Friuli Venezia-Giulia (61,95%); mentre i valori più bassi competono alla Campania (49,96%) e alla Calabria (53,56%).
Per quanto riguarda lo studio delle relazioni che legano il fenomeno dell’invecchiamento demografico alla disponibilità e all’utilizzo di strutture e servizi sanitari, basta dare uno sguardo alle figure 1, 2 e 3 che compaiono nel seguito per constatare quanto prefigurato nella parte introduttiva di questo lavoro, vale a dire una sensibile influenza esercitata dal fattore demografico dell’invecchiamento sul volume delle strutture e delle prestazioni sanitarie.
Se poi si prendono in esame i dati contenuti nella tabella 2, è agevole rimarcare un sostanziale accordo tra i valori regionali che quantificano i livelli di invecchiamento e le corrispondenti misure riferite alla situazione sanitaria. In altri termini, il confronto tra i valori effettivi e quelli “teorici”, cioè derivanti dall’ipotesi di linearità, rivela sensibili concordanze.
Se in particolare si osservano i dati riguardanti il “tasso di ospedalizzazione”, ovvero il numero annuale dei ricoveri riportato a 1000 abitanti (cfr. nota (b) tabella 2), si riscontra una marcata aderenza al modello lineare. Differenze tra valori effettivi e teorici di minima entità riguardano in particolare: l’Umbria (0,74), il Friuli-Venezia Giulia (-0,98), il Molise (-1,06), e l’Abruzzo (1,55). D’altro canto, neppure mancano eccezioni nella conformità al modello teorico, quali quelle della Valle d’Aosta (22,38), della Campania (16,94) e della Sardegna (13,72); le performances più inadeguate sono da attribuirsi a regioni quali la Sicilia (-12,98), la Lombardia (-10,80) e la Puglia (-9,58). Passando a considerare – ancora nella tabella 2 – l’altra variabile sanitaria, cioè i dati della degenza media espressa in giorni (cfr. nota (c) Tab. 2), difformità tra valori effettivi e teorici di ridotta entità si osservano in particolare in Friuli-Venezia Giulia (0,01), in Basilicata (0,02) e in Trentino-Alto Adige (-0,03). Eccezioni nella corrispondenza al modello teorico riguardano regioni quali: il Veneto (0,68), la Valle d’Aosta (0,53), la Liguria (0,45) e la Toscana (-0,65). Altre interessanti considerazioni possono essere svolte prendendo in esame la terza variabile di genere sanitario e cioè i dati riguardanti i “posti letto”, (cfr. nota (d) tabella 2) e le differenze tra valori effettivi e teorici. Soprattutto rimarchevoli appaiono i casi di alcune regioni quali il Trentino-Alto Adige (0,05), il Lazio (0,05), la Puglia (0,06) e la Sicilia (-0,03): ciò in virtù della scarsa entità delle distanze dei loro valori reali rispetto a quelli espressi dal modello lineare. Per contro, da detto modello si discosta in primo luogo la “virtuosa” Emilia-Romagna il cui numero di posti letto effettivi supera di gran lunga (+0,30) il dato teorico, mentre lo stesso Friuli-Venezia Giulia mostra una distanza sensibilmente elevata (+0,26). È anche da dire che, viceversa, la Calabria fa registrare la situazione ospedaliera peggiore, in ragione di una differenza di valori fortemente negativa (-0,44).
Conclusioni
I cambiamenti nella struttura per età dovuti agli effetti del progressivo invecchiamento della popolazione comportano una domanda sanitaria specifica e crescente rivolta ai servizi sanitari regionali. L’analisi effettuata, infatti, ha evidenziato palesi differenze regionali riguardanti le relazioni che legano le variabili sanitarie considerate al fattore demografico rappresentato dall’invecchiamento.
Di fronte all’aumento del numero di anziani e al possibile ridimensionamento del ruolo assistenziale delle famiglie, uno sforzo di investimento nell’ampliamento e nella modernizzazione del settore sanitario è evidentemente necessario6. Ma, più in generale, appare ormai ineludibile una revisione complessiva del modello dei servizi che riduca il peso delle risposte alle acuzie e si attivi realmente sui bisogni delle cronicità, in cui la dimensione assistenziale sarà sempre più centrale.
Ad oggi, la spesa ospedaliera continua a rappresentare una quota rilevante della spesa sanitaria pubblica, dal momento che deve tener conto di ingenti quote di importi per l’emergenza dovuta al coronavirus e per le innovazioni terapeutiche, ma anche per i ritardi nello sviluppo della medicina del territorio e dei servizi per la cronicità. È infatti evidente che l’assistenza alle persone con età avanzata sarà uno dei temi centrali della società e dell’economia italiana nel prossimo futuro7.
La progettazione e la realizzazione di un modello di welfare che ne tenga conto è sostanziale, e richiederà l’impiego di notevoli risorse e in particolar modo una profonda innovazione dei modelli organizzativi, sia sul fronte della assistenza pubblica che su quello della rimodulazione dei servizi da parte del sistema privato8. Le parole d’ordine dovrebbero essere: investire in prevenzione e ricerca, riorganizzazione e potenziamento dei sistemi sanitari regionali, sostegno ai caregiver familiari, rafforzamento dell’assistenza domiciliare, modelli assicurativi orientati alla tutela della non autosufficienza, presidi residenziali assistenziali e sanitari capillari, e uso costante e integrato delle nuove tecnologie della comunicazione.
Bibliografia
1. Magatti M, Lodigiani R, (a cura di), Welfare 2020. Il futuro dei sistemi di protezione sociale nel nostro paese. Fondazione Roma, Università Cattolica 2013.
2. Fosti G. Notarnicola E. Il futuro del settore LTC. Prospettive dai servizi, dai gestori e dalle policy regionali, Egea, Milano 2019.
3. Di Pasquale E, Stuppini A, Tronchin C. La vera emergenza è l’invecchiamento, Neodemos 2018.
4. Ministero della Salute, Rapporto SDO 2019. Il Rapporto sui ricoveri ospedalieri fotografa l’attività di ricovero e cura per acuti degli ospedali italiani, pubblici e privati, Roma 2021.
5. Istat. Annuario statistico italiano, dati del 2019, Roma 2021.
6. Galluzzo L, Gandin C, Ghirini S, Scafato E. L’invecchiamento della popolazione: opportunità o sfida? Istituto Superiore di Sanità, Roma 2019.
7. Principi A, Carsughi C, Gagliardi F, et al. Linee guida di valenza regionale in materia di Invecchiamento Attivo. INRCA – Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani. Centro Studi e Ricerche Economico-Sociali per l’Invecchiamento. Ancona 2016.
8. Razetti F, Maino F. Attori e risorse, tra primo e secondo welfare. Nuove alleanze per un welfare che cambia, Giappichelli Editore 2019.