Nuove strategie comunicative per la promozione della prevenzione vaccinale

Cristina Cenci*, Francesco Dimitri*, Paola Aragno*, Sabrina Bisceglia*
Team Comunicazione

Tendenze Nuove n.1 – 2018; 63-76: DOI: 10.32032/TENDENZE01201805.PDF


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Comunicare i vaccini è difficile perché i vaccini sono un argomento emotivamente complesso. Gli scienziati sono abituati ad avere a che fare con fatti, o almeno con il tentativo di trovarli, e questo atteggiamento è senza dubbio il punto di forza della scienza. Capita però troppo spesso che poi si ri etta anche nelle strategie di comunicazione della scienza, che niscono per basarsi esclusivamente su dati, statistiche, numeri, trascurando i fattori umani che entrano in gioco quando ci troviamo a fare le nostre scelte nella vita di tutti i giorni. Come vedremo più in dettaglio, il premio Nobel Daniel Kahneman (tra gli altri) ha messo in luce come, nel prendere gran parte delle nostre decisioni, seguiamo motivazioni non razionali, e solo in un secondo momento cerchiamo giustificazioni razionali (Kahneman, 2011). Prima decidiamo di comprare una certa macchina, per motivi vari, e poi ci raccontiamo di aver lucidamente cercato un affare. Anche persone molto esperte nel loro campo fanno questo tipo di errori prospettici.

Quindi comunicare la scienza è molto diverso dal produrla. Quando sicomunica la scienza i fattori emotivi possono diventare un prezioso alleato o un terribile nemico, e a volte le due cose insieme. Se noi desideriamo che le persone facciano scelte più razionali, dobbiamo fare di più che presentare quelle scelte come razionali; è fondamentale renderle scelte emotivamente rilevanti.

Il team di Comunicazione di Valore in Prevenzione ha deciso di muoversi in questa direzione. Gran parte della comunicazione sui vaccini finora si è concentrata sulla scienza di per sé: sullo spiegare come vaccinare sia una scelta razionale. Il team ha deciso invece di raccontare la scelta, parlando al cuore più che al cervello, esattamente come fa il fronte anti-vaccino. Con l’ovvia differenza che in questo caso partiamo da reali dati scientifici.

Spiegheremo quindi l’importanza dello storytelling. Quello che le storie fanno, quello che hanno sempre fatto, è creare e trasmettere immagini mentali, empatia. Le storie ti mettono nei panni di un personaggio, e ti fanno sentire quello che il personaggio sente.

Una strategia di comunicazione che si concentri sui dati ha di sicuro molti vantaggi, e può fare molto bene, ma si scontra sempre con il momento di paura ancestrale che viene al pensiero di un ago che fora la pelle di un bambino piccolo; la siringa da cui esce una goccia è un’immagine terrorizzante, il bambino che piange lo è ancora di più, e la foto di una persona con problemi di salute “causati” dal vaccino lo è ancora di più. Poco importa se ci venga spiegato che la goccia che esce dalla siringa non è veleno ma farmaco, che il bambino dimenticherà il pianto entro pochi minuti, che la malattia vista nella foto non ha niente a che vedere con i vaccini: un’immagine forte è più potente di qualunque dato. Con le storie creiamo immagini, ed è questo che vogliamo fare con il progetto di comunicazione Gemma e i Vaccini, ideato con il team di Valore in Prevenzione.

Gemma e i Vaccini è un progetto di storytelling digitale che mira a comunicare emotivamente l’importanza del vaccino. Il progetto si è articolato in tre fasi.

La prima fase è la desk research. Invece di dare per scontato che i discorsi anti-vaccino di per sé non fossero interessanti, li abbiamo ascoltati. Ci siamo liberati di ogni assunto, e attraverso una ricerca quantitativa e qualitativa della comunicazione sui vaccini, abbiamo analizzato la rappresentazione dei vaccini in rete. Non per creare una falsa equivalenza scientifica tra le due, la qual cosa sarebbe scorretta, ma per cercare di capirequale è la forma dell’equivalenza comunicativa che si è venuta a creare. Troppo spesso questo tipo di equivalenza viene data per scontata, o imputata vagamente ai “social media”, ma per fare una comunicazione efficace è necessario andare più a fondo.

La seconda fase è stata la strutturazione del progetto vero e proprio. Con la desk research abbiamo individuato i nodi emotivi della discussione; nella seconda fase abbiamo creato la nostra storia intorno a essi. La s da non era semplice, per vari motivi. Il problema di fondo è che una storia di successo dei vaccini è per de nizione una storia in cui non succede niente, perché il punto dei vaccini è prevenire problemi. Raccontare una storia in cui le cose vanno bene, basandola sulla scienza, senza essere dogmatici, e al tempo stesso codi cando valori e informazioni utili, è possibile, ma è probabile che ne venga fuori una storia noiosa, che esprima un tema senza però farlo sentire. I miti hanno bisogno di con itto, hanno bisogno che i temi siano espliciti ma non didascalici, hanno bisogno di movimento e di una dose di sventura.

Abbiamo risolto raccontando non una storia, ma due. Due diverse versioni di Gemma si muovono in due mondi diversi, uno in cui i vaccini diventano capillarmente diffusi, un altro in cui si smette del tutto di usarli. In ciascun mondo la vita di Gemma prende direzioni diverse, e in ciascun mondo vediamo i cambiamenti sociali ed economici legati alle conseguenze della presenza o assenza dei vaccini. In pratica, abbiamo raccontato la storia per differenza, rendendo così visibile l’invisibile, rendendo concreti i bene ci dei vaccini.

Una volta deciso cosa raccontare, restava il problema del come. Volevamo raccontare questa storia digitalmente, creando un semplice sito web che la contenesse per intero, e a cui curanti e altri stakeholders potessero rimandare persone dubbiose. Ma su Internet l’attention span delle persone è estremamente ridotto, e pochi utenti, al momento, leggono testi che sembrano lunghi. Ci serviva quindi un formato che fosse rapido, coinvolgente, e riconoscibile.

La storia di Gemma e i Vaccini è un moderno racconto epistolare, interamente narrato in un sito web, ma attraverso un formato simile a scambi di SMS, messaggi su social mediaemail. Abbiamo suddiviso la storia in capitoli, e ciascun capitolo ci mostra vari pezzi di vita di Gemma in entrambi i mondi. Tutto avviene attraverso dialoghi rapidissimi tra personaggi, che richiamano i dialoghi che abbiamo ogni giorno su piattaforme digitali. In questo modo da un lato aumentiamo la possibilità per i lettori di immedesimarsi nei personaggi stessi, dall’altro rendiamo la narrazione molto veloce.

La terza fase è la messa online. L’intera storia viene pubblicata sul sito, e i medici ricevono delle card da distribuire ai loro pazienti dubbiosi sulle vaccinazioni, con un invito a leggerla.

Box di presentazione del concept del progetto e sito Web:“Gemma e i vaccini”

Tuo figlio è appena nato: lo stai vedendo ora la per la prima volta. Lo stai guardando. Piange come se gli fosse appena successo qualcosa di orribile, e in un certo senso è così. Tutto quello che sapeva, letteralmente tutto quello che aveva imparato da quando aveva cominciato a esistere, è perso per sempre. Via i suoni, via gli odori, via la sensazione tattile di essere avvolto, protetto, sicuro in un bozzolo che non cambierà mai. È come se tu all’improvviso, e senza avere la più pallida idea del perché, ti trovassi sbalzato in una nazione straniera, di cui non hai mai sentito parlare, la cui lingua non conosci, e in cui non hai amici né speranze di fartene, considerato che tutti i locali sono molto più grossi e più forti di te, e vagamente minacciosi (ti prendono in braccio, ti passano da uno all’altro come se fossi un pallone). Nascere vuol dire assistere alla ne del mondo, un’apocalisse su misura, e a chi mai piacerebbe trovarsi in mezzo a un’apocalisse su misura?
Ma non è solo il suo mondo a essere cambiato. È cambiato anche il tuo. In un istante non sei più un glio o una glia, non come lo eri, ma sei un padre, una madre. Lo stato di prima non tornerà mai più, e in un istante, questo istante, ti rendi conto di dover cominciare a mentire. D’ora in poi dovrai ngere, per la maggior parte del tempo, che essere un adulto voglia dire avere risposte, sapere cosa fare, sempre, comunque. Dovrai ngere che il bambino dubbioso, spaventato, perduto, che eri, sia scomparso senza lasciare traccia.
Guardi tuo glio e ti rendi conto che non piange soltanto perché è disorientato, non piange soltanto perché il mondo vecchio è nito e quello nuovo è così strano. Piange perché tutto questo gli fa paura. La sua pelle è una barriera appena sufficiente contro questa nuova realtà, le sue mani sono troppo piccole per essere utili, i suoi sensi sono abituati a tutt’altro. Non può nutrirsi, non può comunicare, non può muoversi. È in balia degli eventi, e per sopravvivere dovrà darsi ciecamente di te, e con il tempo, dovrà imparare ogni cosa da zero. Questo bambino sta scoprendo al tempo stesso quanto incerta sia la realtà, e quanto questa incertezza sia terrificante.
Esattamente come te.
Negli ultimi mesi hai passato parecchio tempo online. E non solo online: hai comprato libri, letto magazine, guardato documentari. Volevi informarti. Volevi sapere tutto quello che c’è da sapere su come essere genitori. Vuoi prepararti a dare tutto a tuo glio, sì, certo, ma come si fa a dare tutto? Hai letto mille teorie e mille teorie contrarie, hai seguito discussioni e litigi, e credevi di esserti fatto un quadro, qualche idea di fondo, ma adesso che vedi davvero tuo glio, adesso che vedi quanto sia fragile e spaventato, quelle idee non sembrano più tanto solide.
Prendi i vaccini, per esempio.
Non sei un medico, né hai pretesa di esserlo, ma hai fatto le tue ricerche. Hai visto le controversie: ne parlano tutti i giornali. Qualcuno dice che i vaccini possano causare autismo, o peggio. Gli esperti dicono che sono sciocchezze nate da una mancanza di consapevolezza scienti ca, e il tuo medico ti ha consigliato di vaccinare. Credevi di avere deciso. Ma tutto quello che credevi è stato spazzato via quando hai cominciato a guardare tuo glio. Se le altre certezze sono cadute, perché non questa? Per la prima volta pensi all’orribile immagine di un ago che penetra quella pelle fragile, spillando sangue, e iniettando agenti patogeni in un bambino perfettamente sano. Ha davvero senso tutto questo? Le hai viste, le foto su Facebook di bambini la cui vita è stata rovinata, si dice, per un vaccino. Non ci credevi, ma adesso stai guardando il tuo, di bambino, e stai pensando che forse, se quelle foto sono vere (e perché non dovrebbero?) la prossima vita rovinata potrebbe essere la sua. All’improvviso quegli esperti non sembrano più tanto convincenti. Le statistiche, i dati scienti ci, sono solo numeri, e tuo glio non è un numero, è una persona.
Il tuo mondo è cambiato; e tu, come tuo glio, hai paura.

5.1. L’antico problema del fronte anti-vaccino

Il fronte anti-vaccino ha radici antiche. A cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo gli esperimenti del medico inglese Edward Jenner portarono alla rapida diffusione del vaccino contro il vaiolo – una malattia che, nelle parole del medico e autore Paul A. Of t, “ha ucciso più persone della Morte Nera e di tutte le guerre del ventesimo secolo messe insieme” (Of t, 2015). Tra gli anni cinquanta e i sessanta del diciannovesimo secolo il governo inglese rese la vaccinazione obbligatoria, e mise in atto misure per far rispettare la legge. Il risultato? Da una parte, un crollo dell’incidenza del vaiolo; dall’altro, la nascita del fronte anti-vaccino, quasi del tutto identico a quello di oggi, in “ogni slogan, messaggio, paura, e conseguenza” (Of t, 2015).

Il fronte era trasversale, allora come oggi, a strati sociali e livelli di educazione. Un testo chiamato Vaccination Vampire paragonava i dottori a vampiri; il contenuto dei vaccini assumeva apertamente il ruolo di un veleno; e sì, anche senza social media, il fronte anti-vaccino diffondeva immagini spaventose di bambini trasformati letteralmente in mostri. Ci furono manifestazioni di piazza, e madri che nascondevano i gli dai vampirici dottori venuti a vaccinarli. In fin dei conti per produrre il vaccino venivano usate, appunto, vacche – quindi non ci voleva uno scienziato per capire che un bambino inoculato avrebbe facilmente potuto mettersi a pascolare in un prato (Of t, 2015). Per citare ancora una volta Of t: “Dire che il vaccino MMR causi l’autismo ha altrettanto senso di quanto ne avesse dire che il vaccino contro il vaiolo trasformasse i bambini in mucche. La sola differenza è che le affermazioni di oggi sono avvolte in gergo scientifico, e quindi suonano migliori” (Of t, 2015).

Tutto questo succedeva prima dei social media, prima di Internet, prima dei computer, e prima dei telefoni. Niente è cambiato, sotto molti aspetti; sono questi gli aspetti interessanti da un punto di vista della comunicazione della salute e dei vaccini. Nello stesso tempo i codici simbolici che li esprimono e il loro potere di impatto cambia e si potenzia.

Il dibattito contemporaneo a riguardo si articola intorno a due nodi fondamentali, connessi tra loro. Il primo è un’opposizione di fondo tra l’informazione scientifica e le mille ‘informazioni’ che circolano in rete, diffuse da fonti anonime o non attendibili: laddove la prima è pro-vaccino in modo compatto, al punto che di parlare di un ‘fronte’ pro-vaccino in questo contesto non ha neanche troppo senso, la seconda ha una posizione antagonista. L’altro nodo è l’idea che questa opposizione ai vaccini nasca da una mancanza di informazione adeguata. In quest’ottica, il problema sembra di facile risoluzione con un aumento dell’informazione: una forma di ottimismo che spera che la moneta buona possa scacciare quella cattiva.

Questi due nodi presi insieme danno vita a un’immagine del web come luogo di disinformazione, falsi miti, anti-scienza: un’immagine tanto più potente dopo il 2016, quando Oxford Dictionaries ha nominato “post-truth”, post-verità, parola dell’anno, de nendola come parola “relativa a, o che denota circostanze in cui, i fatti oggettivi sono meno influenti nel dare forma all’opinione pubblica di quanto lo siano gli appelli a emozioni e credenze personali”. In questa immagine il web è ‘nemico’ dell’informazione scientifica accurata, ed un nemico che può e deve essere scon tto con mezzi puramente razionali.

Ma tutto questo va messo in discussione. Il quadro non è quello di una differenza binaria tra informazione scientifica e informazione paranoica, tra comunicazione logica e comunicazione emotiva. Il quadro diventa molto più complesso.

La buona notizia è che nel diventare più complesso, offre la possibilità di una soluzione. Con Gemma e i Vaccini abbiamo cercato di trovarla.

5.2. Un quadro complesso

Abbiamo visto che la retorica anti-vaccino non è nata con il web, ma ovviamente questo non vuol dire che il web di per sé non abbia effetto. Possiamo pensare al web come un crocevia narrativo in cui coesistono, si incrociano, si scontrano discorsi che hanno una capacità di in uenza diversa. È su questa capacità di in uenza che dobbiamo interrogarci, ed è su questa capacità che dobbiamo agire.

Il primo passo di Gemma e i Vaccini è stato l’ascolto, attraverso la desk research. I risultati sono stati interessanti. Dall’analisi delle conversazionionline sui vaccini emerge non tanto la disinformazione, ma un processo didelegittimazione sociale dei vaccini, di cui la rete è un barometro e al tempo stesso un veicolo. Non c’è, a livello di rappresentazione sociale, una divisione netta tra informazione scientifica e tutto il resto: questo processo di delegittimazione trova argomenti e “prove” che nascono da informazioni prodotte nell’ambito della comunità scienti ca e veicolate da riviste scienti che. L’esempio più notorio è il presunto nesso causale tra il vaccino MPR e l’autismo, al centro del rifiuto del vaccino in molte conversazioni online, e che viene stabilito dallo studio del medico inglese Wake eld, pubblicato su Lancet nel 1998 e ritirato solo nel 2010. Ma non è l’unico caso del genere. Nel 2012 la procura di Rimini condanna il Ministero della Salute a risarcire la famiglia di un bambino, riconducendo l’autismo all’immunizzazione, e ancora nel marzo 2014 la procura di Trani apre un’inchiesta dopo la denuncia di alcuni genitori. Tra gli stakeholder più attivi sul fronte anti-vaccino ci sono persone come Eugenio Serravalle, un omeopata ma anche un pediatra, Stefano Montanari, esperto di nanopatologie, Roberto Gava, un medico specializzato in Cardiologia, Farmacologia Clinica e Tossicologia Medica (radiato dall’Ordine dei medici, solo nel 2017).

Fino al 2015, il fronte pro vaccino online è sotto-rappresentato, costituito da contenuti frammentati, azioni isolate, mancanza di sinergia e mobilitazione collettiva. L’unica realtà più attiva in rete era Vaccinarsì, il portale di informazione medico-scientifica a cura della Società Italiana di Igiene. I movimenti degli anti-vaxxers erano invece già molto attivi su Facebook, in particolare nella diffusione di notizie su vaccini e autismo, con la condivisione di storie per immagini di bambini malati. L’associazione più visibile e organizzata, il COMILVA, si presenta con la mission di garantire la libertà di scelta nelle vaccinazioni.

Dall’ottobre 2015, con la costituzione del TeamVaxItalia, la pagina Facebook#IoVaccino, l’impegno del medico Roberto Burioni (la sua pagina ha 357.126 like), lo scenario a favore del vaccino è completamente cambiato: online si sono aggregati e organizzati in uno spazio comune in uencer, genitori, esperti e scienziati. Il risultato è la nascita di una Comunità online altamente motivata dallo scopo di diffondere la conoscenza e la corretta informazione nell’ambito vaccinale.

Nello stesso tempo, puntare solo all’informazione e consigliare un’analisi critica delle fonti non è sufficiente. Non immunizza semanticamente dalle storie alternative. Ha senso da un punto di vista scientifico, della ricerca sullasalute; ma non basta per la comunicazione della salute.

Il processo di fact checking dell’informazione non è mai così lineare, purtroppo. Non lo era nel diciannovesimo secolo e lo è diventato ancora di meno negli ultimi anni. Un articolo del Corriere della Sera o di Rai News che riporta la sentenza di Rimini o l’indagine di Trani non è attendibile? E chi per caso prima del 2010 si fosse avventurato su Lancet avrebbe dovuto considerare quella fonte non attendibile? Che senso ha in questo contesto pretendere che si distinguano i fatti dalle opinioni? Quali sono i fatti, sanciti da chi, accreditati da chi? I siti più importanti contro i vaccini uniscono la presentazione di casi personali a bibliogra e che raccolgono prevalentemente articoli di riviste scienti che e mediche (o almeno apparentemente tali, ma questo, a meno di voler formare il pubblico a una esatta conoscenza dei titoli di ciascuna pubblicazione scientifica, dal punto di vista comunicativo non fa alcuna differenza).

Spesso sono articoli di decenni fa, ma a ogni modo presentano tutte le caratteristiche formali e retoriche della rivista accreditata e “dell’evidenza scientifica”. Decodi carle e distinguere “i fatti dalle opinioni”, i fatti scienti ci veri e falsi sarebbe dif cile anche per un medico non specialista del settore.

Come pensiamo che possa farlo una madre preoccupata per il figlio?

5.3. Il potere dell’empatia

Deepak Malhotra, Professore di Business Administration alla Business School di Harvard, ed esperto di negoziato, sostiene che esistono tre “colonne” che occorre tenere presente in un negoziato dal quale si voglia uscire vincitori: framing, processo ed empatia (Malhotra, 2016). In questa sede ci interessa l’empatia. Per spiegarne l’importanza Malhotra porta come esempio la Crisi dei Missili di Cuba del 1962, in cui Kennedy e Khrushchev rischiarono una guerra nucleare che nessuno dei due voleva. Il con itto non fu risolto con mezzi militari, ma perché Kennedy fu in grado di capire quale fosse la posizione politica della sua controparte russa: Khrushchev stava rispondendo ad alcune mosse americane, in modi che rendevano la sua nazione più sicura. Piuttosto che considerare questo come un atto di aggressione, Kennedy si rese conto che erano le azioni di un capo di stato, e ne tenne conto nei negoziati. La crisi si concluse paci camente perché Kennedy fu in grado di superare alcuni dei più forti pregiudizi americani del tempo, mettendosi nei panni, tra tutti, del capo di stato dell’Unione Sovietica.

È questo tipo di approccio che occorre portare al dibattito, che si è polarizzato al punto da non lasciare lo spazio necessario a una comprensione empatica dell’altra parte. Dire che è necessario capire profondamente, con empatia, le ragioni del movimento anti-vaccino non vuol dire neanche per un momento condonarne la logica, come Kennedy non diventò filo-sovietico. Ma descrivendo coloro che hanno smesso di vaccinare, o che hanno dubbi se farlo o meno, soltanto in termini di ignoranza, disinformazione, scarse capacità di comprensione, non sarà mai possibile instaurare un dialogo produttivo. Nel fronte anti-vaccino ci sono senza dubbio interessi economici, e posizioni radicali legate a questioni di identità, di appartenenza a un gruppo, o di convinzioni politiche e/o religiose. Ma gran parte delle persone che si chiedono se vaccinare o no i loro gli sono soltanto a un primo livello persone che si fanno domande. A un secondo livello sono persone che cercano rassicurazione. Persone che stanno andando attraverso un momento di vita oggettivamente dif cile, di crisi, di trasformazione, e cercano degli appigli sicuri per sentirsi un po’ meno persi. Vogliono risposte, certo, ma vogliono risposte in cui credere, emotivamente prima ancora che razionalmente.

È relativamente facile mantenersi razionali in astratto. Ma quando un genitore percepisce la fragilità del glio molte altre considerazioni entrano in gioco, considerazioni che hanno poco a che fare con la ragione di per sé.

Ed è questo a rendere la delegittimazione sociale dei vaccini tanto insidiosa. Facciamo un esempio. Nessun medico può garantire che un vaccino sia privo di rischi, semplicemente perché da un punto di vista scientifico questo non è vero. Un attivista anti-vaccino può tranquillamente dire ‘nessun medico ti dirà che vaccinare non comporta alcun rischio’, senza mentire né diffondere disinformazione in senso stretto.

E se la persona in dubbio va a chiedere al suo medico, il suo medico (se anche è convinto personalmente dell’importanza dei vaccini) dovrà spiegare che sì, un rischio c’è. Quando sei stanco, spaventato dalle trasformazioni radicali che stanno accadendo nella tua vita, alla ricerca di porti sicuri, non è la risposta che ti vuoi sentir dare.

Il medico in questione può continuare a spiegare che sì, vaccinare comporta rischi, ma anche non vaccinare ne comporta, e in realtà da un punto di vista statistico ne comporta di più, quindi non vaccinare è più rischioso dell’alternativa, più rischioso del vaccino. Solo in pochi casi, però, un discorso così razionale, posto in termini soltanto logici, porterà risultati. Kahneman ha dimostrato (Kahneman, 2011) che il cervello umano è troppo pigro per ragionare statisticamente. Senza un training specifico, sceglieremo sempre un aneddoto forte rispetto a un freddo dato. Ci diamo dei nostribias e dei nostri pregiudizi, ed è difficile cambiarli perché non ci rendiamo conto di avere bias e pregiudizi: sembrano semplicemente lenti trasparenti attraverso cui guardiamo il mondo. Se siamo fortemente convinti che i membri di una minoranza etnica siano pericolosi, quando incontriamo un membro di quella minoranza, vediamo una ‘persona pericolosa’: il salto logico è automatico, pre-conscio, e invisibile. Dopo l’incontro potremmo essere più che mai convinti che i membri di quella minoranza siano pericolosi, perché appunto, abbiamo appena incontrato una persona che aveva tutta l’aria di essere pericolosa. È un ragionamento circolare privo di senso da un punto di vista logico, ma con un enorme potere emotivo. Ci sono precisi motivi neurologici per cui questo succede (Beau Lotto, 2017): i nostri pregiudizi sono in un certo senso i sentieri nel nostro cervello che percorriamo più spesso. Diventano ltri attraverso cui percepiamo il mondo, e qualsiasi nuova informazione riceviamo, qualsiasi nuovo dato, viene passato attraverso quei ltri. Soprattutto in momenti di confusione, i dati statistici non potranno mai avere la forza della fotografia di un bambino gravemente malato.

In quest’ottica la scelta di non vaccinare diventa all’improvviso più comprensibile: diventa una scelta per la quale possiamo provare empatia. Certo, da un punto di vista scientifico, vaccinare tuo glio è più sicuro dell’alternativa. Ma da un punto di vista emotivo, vaccinarlo significa che stai iniettando, con un ago, una siringa, un oggetto che ferisce, dei prodotti non naturali (non è questa la sede per un discorso sulla rappresentazione sociale della dicotomia “naturale/non naturale”, ma è chiaramente parte del problema) sotto la pelle di tuo glio. Quando non lo vaccini, non gli stai facendo niente di male, lasciandolo crescere sano ( nché non lo è più, ma che quel momento arrivi sembra, nel momento presente, impossibile).

È un errore prospettico, ma un errore comprensibile, soprattutto in una società in cui, proprio grazie ai vaccini, le malattie sono diminuite. Il nodo della comunicazione dei vaccini non deve quindi essere la disinformazione, ma la costruzione di un discorso sociale condiviso di rilegittimazione dell’immunizzazione. Tanto più i vaccini sono efficaci e le malattie spariscono o diminuiscono, tanto il movimento di opinione contrario alla vaccinazione diventa facile da diffondere. La mancanza di un’esperienza diretta e diffusa della patologia associata al vaccino rende più semplice, meno faticoso cognitivamente, per l’individuo orientarsi verso scelte e vissuti guidati da stili di vita, emozioni, rapporto con la società. L’esperienza emotiva della malattia non è presente in modo abbastanza forte da costruire il vaccino come salvezza. Ma il fantasma di quell’esperienza è presente in modo forte, e il vaccino sembra avvicinarlo piuttosto che esorcizzarlo. Combattere i fantasmi è dif cile.

E questo ci porta a un problema fondamentale: i fantasmi fanno paura, i fantasmi sono emotivamente potenti, e sono quindi facili da raccontare. Una foto di un bambino malato è un pugno nello stomaco, e poco importa che la sua malattia non abbia niente a che vedere con i vaccini. Il collegamento emotivo è stato creato. Raccontare una storia di successo è per de nizione molto più dif cile, perché una storia di successo è una storia in cui niente, apparentemente, succede. Una storia di successo sui vaccini è una storia in cui le persone non si ammalano e vanno avanti con la loro vita. Come è possibile far sentire empaticamente, emotivamente, che questo è reso possibile dai vaccini, quando siamo abituati a dare per scontato che semplicemente questa è la vita? Come fare a ricordare la malattia a una società che sembra averla dimenticata? Gemma e i Vaccini è un tentativo di rispondere a questo problema.

5.4. Storytelling

La business storyteller Annette Simmons sostiene che “al contrario di quanto si creda comunemente, è raro che una decisione sbagliata sia presa perché le persone non hanno tutti i fatti necessari. Decisioni sbagliate vengono prese perché le persone ignorano i fatti, non capiscono i fatti, o non danno ai fatti l’importanza necessaria” (Simmons 2006).

Ed è questa una delle funzioni delle storie: rendere i fatti importanti. Tradurli in un linguaggio emotivamente comprensibile, e quindi trasformare quei fatti in strumenti concreti di azione. Per chi non ha profonde conoscenze matematiche un’equazione non significa – letteralmente – nulla: è necessario tradurla in parole per spiegarne l’importanza. Un matematico potrà, magari, emozionarsi per i suoi calcoli, ma quella spinta è del tutto preclusa a chi non condivide la sua conoscenza. Ma per far sentire l’importanza di quell’equazione occorrerà fare un’ulteriore traduzione, parlare a un livello ancora più fondamentale, quello, appunto, della storia. Come ricorda Jerome Bruner, “il senso comune si ostina ad affermare che la forma di racconto è una nestra trasparente sulla realtà” (Bruner, 2002). I nostri pregiudizi assumono la forma di storie che raccontiamo a noi stessi – la storia, per esempio, di un bambino speci co che si ammala poco dopo aver ricevuto un vaccino. Rispondere a quella storia con dati e teorie scienti che non è suf ciente: occorre creare un diverso racconto, una diversa nestra sulla realtà.

Fin dai tempi di Aristotele, che sosteneva che la narrativa fosse potentissima nel cambiare l’umore delle persone, lo storytelling è stato lo strumento fondamentale, lo strumento per eccellenza, dell’arsenale retorico. Questo per vari motivi, uno fra tutti: lo storytelling è fortemente metaforico, e la metafora aiuta a creare cambiamento. Robert Cialdini, il maggiore esperto al mondo di persuasione etica, riporta un esperimento condotto da ricercatori della Stan- ford University, che volevano indagare il modo in cui formiamo opinioni. I ricercatori hanno raccolto due gruppi random di lettori, e hanno fornito a entrambi statistiche sull’aumento della criminalità cittadina. C’era una sola differenza tra i testi: in quelli letti da un gruppo la criminalità veniva descritta come una bestia selvaggia, in quelli dell’altro gruppo, come un virus. Dopo, a entrambi i gruppi è stato chiesto di proporre soluzioni. I membri del primo gruppo erano statisticamente molto più propensi a soluzioni d’urto, basate su prigione e strumenti di polizia tradizionali, e meno propensi a soluzioni che si concentrassero sulla situazione di degrado che aveva causato i crimini. Per i membri del secondo gruppo valeva esattamente l’opposto (Cialdini, 2016).

Processi mentali del genere sono sempre in corso, nelle menti di tutti noi, anche di coloro che questi processi li studiano professionalmente: come non possiamo non respirare, non possiamo non creare metafore, e quelle metafore, quando crescono, assumono la forma di storie.

Le storie danno una forma concreta a valori, paure, speranze, sogni, e delusioni: sono il modo in cui comunichiamo l’inconscio, in cui rendiamo visibile quello che non lo è. Yuval Noah Harari sostiene meravigliosamente che le storie non sono qualcosa che l’essere umano ha semplicemente inventato, non sono soltanto una tecnologia tra le altre, ma sono uno degli elementi fondamentali che ha creato l’essere umano (Harari, 2015), nel senso che ha consentito all’Homo Sapiens di diventare quello che è oggi, di codificare informazione in un modo che fosse facile da trasmettere e significativo. Le storie ci hanno permesso di creare gruppi e cooperare, e hanno reso possibile quegli sforzi di larga scala che solo gli esseri umani fanno. Molti animali usano strumenti, e molti animali usano strumenti complessi, ma solo Homo Sapiens è in grado di usare strumenti complessi per lungo tempo, all’interno di una collettività in cui altri usano strumenti complessi, in vista di uno scopo non immediatamente tangibile.

Questo perché raccontiamo storie, e in quelle storie, in quei miti, incapsuliamo le ragioni per cui è meglio collaborare, e gli scopi ultimi della collaborazione. Nelle parole di Harari, “poiché la cooperazione umana su larga scala è basata su miti, il modo in cui le persone cooperano può essere cambiato cambiando il mito – raccontando storie diverse”.

Il dibattito sui vaccini ha accumulato tutti i dati necessari, tutta l’evidenza scienti ca, ma resta il fatto che la malattia prevenuta dal vaccino non è visibile, mentre la siringa che penetra pelle innocente lo è.
E arriviamo a Gemma.

5.5. Gemma e i Vaccini

La sfida non era per niente semplice: raccontare una storia in cui le cose vanno bene, basandola sulla scienza, senza essere dogmatici, e al tempo stesso codi cando in quella storia valori e informazioni utili. È relativamente facile raccontare una storia del genere, ma ne viene fuori una storia noiosa. I miti hanno bisogno di con itto, hanno bisogno che i temi siano espliciti ma non didascalici, hanno bisogno di movimento, e di una dose di sventura.

La cosa che non volevamo fare era raccontare una storia sulla cattiveria e/o ignoranza del movimento anti-vaccino. La desk research aveva reso evidente l’importanza di una narrazione davvero empatica, che non attaccasse le paure ma le riconoscesse, per poi passare oltre. Quando un bambino ha paura del buio, non ha senso urlargli di smetterla: è importante cominciare con il riconoscere la validità emotiva di quella paura, per poi passare a mostrare che non è necessaria. Senza paternalismo, tutti noi abbiamo bisogno di questo, abbiamo bisogno che le nostre paure siano riconosciute e tenute in considerazione, anche (soprattutto) quando vengono messe in discussione. Non volevamo concentrarci su quanto fosse sbagliato non vaccinare, ma su quanto fosse giusto vaccinare. Non volevamo attaccare ma sedurre. Però, come dicevamo prima, questo portava a un’impasse, perché appunto una storia di successo è per de nizione una storia in cui non succede molto.

Come già detto, abbiamo risolto raccontando non una storia, ma due.

Abbiamo deciso di usare la strada della narrativa fantastica, la più potente e antica tra le forme narrative. La nostra storia si apre con una giovane coppia che ha una glia, e come molte coppie, ha dubbi sulla vaccinazione.

E come capita a molti la nostra coppia è circondata da persone che propendono per uno o per l’altro fronte.

Ma il mondo in cui si muove la nostra coppia non è esattamente il nostro. È molto simile, con una differenza: le persone stanno già vaccinando sempre meno. La storia si biforca immediatamente in due mondi. In uno la bambina, Gemma, viene vaccinata, e più in generale in quel mondo i vaccini riprendono forza. Nell’altro Gemma non viene vaccinata, e più in generale in

quel mondo tutti smettono di vaccinare i gli.
La storia ci fa seguire Gemma in entrambi i mondi, da quando è piccola a quando ha un glio, nel mondo dei vaccini, e muore suo marito, nel mondo senza vaccini. Poco a poco vediamo la Gemma nel mondo dei vaccini scoprire la vita, cogliendo opportunità che vanno scomparendo nell’altro mondo. Raccontiamo cosa signi cherebbe la ne dei vaccini, e lo raccontiamo attraverso il microcosmo di una vita umana, semplice, riconoscibile, la vita di una persona che ama, soffre, ha sogni e paure.

La vita di Gemma nel mondo con i vaccini non è del tutto positiva, perché nessuna vita lo è. A volte le cose le vanno peggio di quanto vadano all’altra Gemma, quella del mondo senza vaccini. Ma nel corso della storia, nel corso della vita delle due Gemma, diventa chiaro che il primo è un mondo di possibilità e libertà, il secondo un mondo di privazioni.

Sul sito sono anche presenti infogra che di qualità, strutturate per essere piacevoli oltre che chiare, che illustrano i dati reali su cui la storia è basata – la scienza dietro le emozioni. Ci sono dati sulla herd immunity, sulle malattie eradicate dai vaccini, e così via. Queste infogra che non sono mai intrusive. Servono a mostrare l’intenso lavoro scientifico dietro i vaccini, e servono a dare una ulteriore spinta emotiva, radicando la storia raccontata nella realtà quotidiana, ma la storia di per sé resta al centro. In questo caso i dati sono al servizio della storia.

Esistono già molti luoghi online, di grande qualità, e molti libri, in cui è possibile trovare dati affidabili sulle vaccinazioni. Noi pensavamo che servisse anche qualcosa di diverso: un luogo che desse ai dubbiosi del materiale emotivo, basato su una comunicazione empatica. Come abbiamo visto, la comunicazione scienti ca, sia quella ad ampio spettro che quella semplice e intima che avviene nello studio di un medico, può e deve fare tesoro delle storie, delle emozioni. Le emozioni non sono un ‘nemico’ della razionalità: sono una componente fondamentale dell’essere umano, che va compreso, celebrato, e non abusato.

Per integrare quanto più possibile spazi digitali e fisici abbiamo creato anche delle cards che i medici di base possono distribuire ai loro pazienti, per indirizzarli al sito di Gemma e i Vaccini. Dare rassicurazione emotiva alle persone che hanno paura di un vaccino può essere molto difficile, e quasi mai i medici hanno una formazione speci ca a riguardo: le cards hanno lo scopo di sempli care la loro vita. I medici possono invitare i pazienti dubbiosi ad andare a leggere la storia, a navigare il sito, trovando magari lì alcune delle risposte di cui hanno bisogno.

Questo lo spirito di Gemma e i Vaccini. Ci piace credere che possa essere parte di qualcosa di positivo, parte del progressivo avvicinamento, già in corso, tra medicina e narrativa. Parte di un processo che potrebbe rendere la scienza un po’ umana, e noi esseri umani, un po’ più scientifici. È questo che fanno le storie: creare il futuro.

5.6. Riferimenti bibliografici

  • Bruner Jerome, La fabbrica delle storie, Laterza, Roma e Bari, 2002.
  • Cialdini Robert, Pre-suasion, Penguin Random House, London, 2016.
  • Jonathan Gottschall, The storytelling animal, First Mariner Books, New York, 2013.
  • Kahneman Daniel, Thinking, fast and slow, Penguin books, London, 2011.
  • LottoBeau, Deviate: the science of seeing differently, Weidenfield and Nicolson, London, 2017.
  • Deepak Malhotra, Negotiating the impossible, Berrett-Koelher, Oakland, 2016.
  • Harari Yuval Noah, Sapiens: a brief history of humankind, Vintage books, London, 2011.
  • Of t Paul, Deadly choices: how the anti-vaccine movement threatens us all, Basic book,New York, 2015.
  • Simmons Annette, The story factor, Basic Books, Cambridge, 2002.



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