Si può ancora comunicare la salute? Verso la fine del concetto e del metodo dell’educazione sanitaria

Francesco Calamo-Specchia


È possibile «educare» alla salute?
La possibilità di educare alla salute – o di educare tout court – singoli e popolazioni, dopo avvisaglie lunghe almeno trent’anni sembra oggi definitivamente messa in crisi (se non forse nei fatti già sconfitta) dal convergere distruttivo di una serie di dinamiche politiche, sociali, culturali, antropologiche.

La prima di esse è costituita, a partire dalla arcinota definizione OMS 1946, dalla progressiva necessaria dilatazione – fino però ad una sua difficile “maneggiabilità” – del concetto di salute: se si vuol cioè davvero considerare la salute come una condizione di pieno benessere e buona qualità complessiva della vita, occorre considerare allora che le aggressioni a salute, benessere e qualità della vita sono oggi notoriamente di origine sempre più ampia e natura sempre più eterogenea.

Per un verso, però, contro molte di tali aggressioni nulla può un approccio educativo (come educare i tarantini a non respirare i fumi dell’ILVA?), come del resto purtroppo nulla può una classica strategia preventiva sanitaria di contrasto; essendo esse legate a dinamiche colossali – dagli assetti politici e istituzionali, a quelli produttivi e dei modelli di sviluppo (neoliberismo, globalizzazione dei mercati, diseguaglianze socio-economiche e di salute, ecc.) – che passano ormai al di sopra delle possibilità decisionali dei singoli cittadini, delle loro associazioni civili, sindacali e politiche, delle loro istituzioni rappresentative, e sono consegnati in toto a imperscrutabili dinamiche macrofinanziarie più ancora che macroeconomiche.

Per altro verso, molte altre aggressioni alla salute/qualità della vita che possono essere definite “culturali” o “comportamentali” hanno la loro radice in un clima culturale e in un sistema di valori (dall’individualismo al consumismo, dalle rappresentazioni sociali del corpo al ruolo dei media) strettamente legato alle dinamiche politiche e produttive appena citate, e che appare anch’esso dunque ormai sostanzialmente inscalfibile da alcuna strategia educativa.


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