Invecchiamento demografico e utilizzo delle strutture sanitarie in Italia

Velia Bartoli
Ricercatore di Statistica, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Università di Roma “La Sapienza”
Tendenze Nuove, Numero 1 – 2023; 1-12: DOI: 10.32032/TENDENZENUOVE20230201.PDF


Note introduttive

Negli ultimi decenni si stanno verificando in Italia e in altri paesi ad elevato sviluppo economico-tecnologico significativi cambiamenti demografici che determinano un graduale invecchiamento della popolazione.
Il prolungato calo della natalità, la bassa mortalità e il conseguente allungamento della durata media della vita, hanno generato un invecchiamento demografico sempre più marcato. Ciò malgrado una certa compensazione al suddetto fenomeno, provocata dalla considerevole immigrazione riscontrata negli anni più recenti, in gran parte costituita da individui appartenenti all’età giovanili.
Se la longevità in buona misura determinata dai progressi in campo culturale e igienico-sanitario è di per sé da considerare un fenomeno di valenza positiva, l’invecchiamento demografico costituisce tuttavia una sua conseguenza inevitabile, che pone i ben noti e gravi problemi principalmente rappresentati dai forti costi in termini assistenziali e sociali.
La presenza sempre più consistente di anziani necessita di una attenta analisi delle nuove esigenze. In particolare, sulla domanda e l’offerta di servizi sanitari, che consentano di disporre interventi efficaci. Ciò malgrado le recenti politiche di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica in campo sanitario, ultimamente operate nel nostro Paese1.

Oggetto della ricerca e fonti statistiche dei dati utilizzati

In questo lavoro, dopo aver presentato le più importanti misure statistiche dell’invecchiamento demografico, viene svolta un’analisi delle principali caratteristiche del ricorso ai servizi ospedalieri della popolazione anziana in Italia.
Tale fenomeno viene analizzato mediante lo studio di una serie di “indicatori”, considerati per classi di età, tipo di attività ospedaliera e regime di ricovero. Si è anche proceduto ad una particolare elaborazione finalizzata a valutare e quantificare le relazioni tra le variabili demografiche e quelle sanitarie: ciò attraverso la usuale tecnica statistica della cosiddetta “regressione lineare”.
Le fonti informative utilizzate per l’elaborazione degli indicatori qui presentati sono le schede di “dimissione ospedaliera”2, che forniscono le informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di cura pubblici e privati su tutto il territorio nazionale. Per la popolazione di riferimento si è considerata quella fornita delle rilevazioni Istat in materia di “popolazione residente”3.

Descrizione dei principali risultati

Prima di esaminare gli aspetti specifici del ricorso ai servizi ospedalieri della popolazione anziana in Italia, è opportuno presentare i valori dei principali indici demografici, che quantificano il grado di invecchiamento della popolazione italiana negli ultimi venti anni.
Quando si analizza il ricorso alle prestazioni sanitarie, l’età del paziente rappresenta evidentemente un fattore estremamente significativo. In particolare, la tipologia di assistenza ospedaliera erogata (acuzie, riabilitazione o lungodegenza) risente fortemente del livello di invecchiamento dei pazienti.
L’Italia presenta da diversi anni a questa parte una struttura per età (tabella 1) fortemente squilibrata a favore delle generazioni più anziane. 
Nel 2000 le persone con età superiore a 65 anni costituivano il 18,6% della popolazione in totale, e quelle con 85 anni e più l’1,9%. Nel ventennio successivo tale disparità si è accentuata: infatti nell’ultimo anno considerato (2021) la percentuale di individui di 65 anni e oltre è aumentata fino al 23,6%, mentre nello stesso periodo la quota degli ultra-ottantacinquenni è salita al 3,7%.

La speranza di vita esprime il numero medio di anni che restano da vivere alle persone considerate alle diverse età. Se l’età in questione è quella iniziale corrispondente alla nascita, il valore dell’indicatore è uguale al numero di anni che mediamente una persona ha di rimanere in vita.
Questa misura fornisce indicazioni sulle condizioni sociali, ambientali e sanitarie di un territorio; pertanto, non è solo un indicatore di natura demografica, ma rappresenta anche un importante parametro per valutare il livello di sviluppo e la qualità della vita di un paese4. Inoltre, il rapporto tra spesa sanitaria e speranza di vita è difatti di estrema importanza per comprendere come affrontare le sfide che ci attendono nei prossimi anni, che vedranno come già segnalato in precedenza, un lento ma inesorabile invecchiamento della popolazione, con il conseguente aumento della spesa assistenziale e sanitaria.
Nel 2000 la speranza di vita alla nascita in Italia era pari a circa 76,5 e 82,3 anni rispettivamente per i maschi e le femmine.
Per effetto del forte aumento del rischio di mortalità dovuta al Covid-19, che in Italia ha dato luogo a circa 74mila decessi solo nel 20205, questo indicatore, dopo aver tenuto un andamento crescente fino al 2019, ha registrato nel 2020 una considerevole flessione per poi ancora lievemente aumentare nel 2021. Gli uomini sono i più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita è scesa a 79,8 anni nell’anno 2020, ossia 1,3 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si è attestata a circa 84,5 anni, ossia 0,9 anni di sopravvivenza in meno rispetto al 2019.
La speranza di vita a 80 anni invece, indica il numero medio di anni che una persona di questa età può aspettarsi ancora di vivere. Anche tale indicatore, che dal 2000 è risultato in costante aumento fino al 2019, è sceso nel 2020 a 8 anni per gli uomini e 9,7 per le donne, sempre per effetto della pandemia da Covid-19, per poi nuovamente aumentare nel 2021. Infatti, quest’ultimo anno restituisce un quadro complessivo nel quale la pandemia continua a esercitare effetti sul comportamento demografico, per quanto non al livello dell’anno precedente.
Anche la cosiddetta età media (espressa in anni), che sintetizza in un unico indice la struttura per età della popolazione, dà conto del livello di invecchiamento demografico. Tale indicatore è calcolato come media aritmetica delle diverse età degli individui della popolazione in oggetto. Secondo l’Istat tra il 2000 e il 2021 l’età media degli italiani è passata da 41,7 a 45,9 anni.
In relazione al permanente regime di bassa fecondità, nonché al fatto che si vive sempre più a lungo, la struttura della popolazione prosegue il suo progressivo scivolamento verso le età senili, anche in una fase storica come quella corrente, caratterizzata dalla presenza di una pandemia con pesanti ricadute sulle possibilità di sopravvivenza della popolazione anziana.
Osservando la tabella 2 si nota che nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020, la popolazione in età 65 -74 anni è aumentata dell’11,6 %, e quella di 75 anni e più del 17,5.
Questo fenomeno si traduce in un aggravamento della sostenibilità del servizio sanitario nonché della percentuale di individui non autosufficienti. La cronicità, in particolare nelle fasce più anziane della popolazione, comporta un crescente impegno di risorse, e richiede continuità di assistenza di lunga durata nonché una forte integrazione tra i servizi sanitari e sociali.6

Nella tabella 2 si sono analizzati i principali indicatori relativi all’utilizzo dei servizi ospedalieri dal 2010 al 2020 (ultimo anno disponibile).
La domanda soddisfatta del sistema ospedaliero viene descritta attraverso l’analisi dei principali tassi di ospedalizzazione elaborati distintamente per classe di età della popolazione anziana, tipo di attività ospedaliera e regime di ricovero. In generale, questi indicatori forniscono una misura sintetica del ricorso al ricovero ospedaliero della popolazione oggetto di studio, e si calcolano rapportando il numero dei ricoveri in cliniche e ospedali pubblici e privati all’ammontare complessivo della popolazione, il tutto moltiplicato per 1000.
I valori ottenuti consentono di descrivere l’utilizzo delle diverse modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria, e di cogliere nelle analisi temporali, gli eventuali spostamenti della casistica trattata da un setting assistenziale all’altro.
Esaminando i valori contenuti nella tabella 2, nell’anno 2020 si nota che il tasso di ospedalizzazione (per 1000 abitanti) più elevato si osserva nella fascia di età over 75 anni per tutte e tre le tipologie di attività ospedaliera: ricoveri per acuti in regime ordinario 211,3, riabilitazione in regime ordinario 13,9 e lungodegenza 7,4.
L’analisi della tendenza temporale 2010-2020 mostra un chiaro andamento verso la diminuzione dei tassi di ospedalizzazione per ogni tipo di attività ospedaliera, regime di ricovero, e infine per ogni fascia di età considerata. Ad esempio, si rileva un valore del ricovero per acuti in regime ordinario che passa da 312,5 a 211,3 per 1.000 abitanti (-32,4%), nella classe di età 75 anni e più. Nello stesso periodo, la riduzione più significativa è dovuta all’attività in riabilitazione e regime di ricovero day hospital, con un indice che passa da 1,3 a 0,3 per 1.000 (-74,6%), ancora nella fascia di età over 75. Più contenuta appare la riduzione osservata per il tasso di ricovero per riabilitazione in regime ordinario nella classe di età 75 anni e più (-28,8%) e nella classe di età precedente (-29,7).
L’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19 ha determinato un vero e proprio “shock” sul sistema ospedaliero. Ciò emerge chiaramente dai tassi di ospedalizzazione registrati nel 2020 e confrontati con l’anno precedente, i cui dati sanitari potevano ritenersi ancora non perturbati dagli effetti della pandemia dovuta al coronavirus. Difatti, la pandemia da Covid-19 ha messo sotto pressione i servizi sanitari, saturando l’offerta e portando a una rimodulazione delle prestazioni. Il sistema ospedaliero italiano è stato al centro di questa emergenza sanitaria, dovendo fronteggiare le conseguenze della diffusione del virus e, allo stesso tempo, garantire i ricoveri urgenti e quelli non differibili.
L’assorbimento delle risorse ospedaliere dovute al trattamento delle persone affette da questa patologia ha causato indirettamente una riduzione della presa in carico dei pazienti non-Covid-19 affetti da infermità sia acute che croniche. Soprattutto in corrispondenza delle maggiori ondate epidemiche, il ricorso all’ospedale è dunque stato necessariamente riservato alla casistica di emergenza-urgenza, tipicamente più complessa, con una rimodulazione dell’attività programmata considerata clinicamente differibile7.
Inoltre, la transizione dai ricoveri in degenza ordinaria a quelli in day hospital negli anni più recenti trova in parte spiegazione nell’attuale tendenza a trasferire alcuni interventi chirurgici, quali ad esempio le varici degli arti inferiori, la cataratta oculistica e il “tunnel carpale”, dall’ospedale all’ambulatorio8.
È anche importante rimarcare come il sensibile calo degli indici di propensione al ricovero ospedaliero nel nostro Paese possa in qualche misura essere attribuito al processo di “deospedalizzazione” avviato con la riforma sanitaria del 19929. Ciò ha comportato una riorganizzazione e una razionalizzazione del sistema sanitario, del resto tuttora in fase di realizzazione.
Per descrivere rigorosamente il tipo di relazione e il grado di dipendenza tra le principali variabili considerate, si è inoltre fatto ricorso in corrispondenza dei vari anni esaminati, a due diversi indicatori statistici, così da rappresentare nel loro insieme due distinte variabili.
La prima di dette variabili è di tipo demografico, e rappresenta la percentuale di popolazione di età da 65 a 74 anni, ovvero dai 75 anni e oltre, rispetto alla popolazione in totale.
L’altra variabile considerata in questo studio è riferita al fenomeno sanitario: essa è stata espressa dal cosiddetto “tasso di ospedalizzazione”, fornito dal rapporto (ancora riportato a 1000 abitanti) tra l’ammontare annuale dei ricoveri ospedalieri e la popolazione nelle classi di età considerate. Come si vede nella tabella 2 la misura suddetta, è stata esaminata in relazione sia al tipo di ricovero cioè “per acuti, per riabilitazione e per lungodegenza”, ovvero per tipo di attività ospedaliera, cioè “regime ordinario e day hospital”.

Dovendosi effettuare un’analisi dello sviluppo temporale delle variabili in oggetto, è stato anzitutto necessario stabilire tra esse un criterio di “antecedenza logica”. Questa deve necessariamente essere attribuita alla variabile rappresentata dal grado di invecchiamento demografico, stante che, come ovvio, i fenomeni della morbilità e della mortalità riguardano in massima misura le età più avanzate.

Si deduce da quanto detto che la rappresentazione grafica sul piano cartesiano richiede che i valori delle variabili demografiche, da considerare come “indipendenti”, siano riportati sull’asse delle ascisse, sicché quelli delle variabili “dipendenti” di tipo sanitario figurano nelle ordinate. 

Per analizzare i legami tra le variabili sopra descritte, si è fatto impiego del noto criterio statistico della “regressione lineare”. Nei grafici suddetti la successione dei punti osservati, è interpolata da una funzione lineare ottenuta seguendo l’usuale criterio dei “minimi quadrati”. Per brevità l’analisi rappresentata dalla tabella 2 ha riguardato soltanto i due valori numericamente più elevati dei tassi di ospedalizzazione. 

Osservando le figure 12 si deduce che l’ipotesi di linearità qui formulata, risulta del tutto verosimile, stante il forte grado di accostamento dei punti osservati rispetto alle rette interpolanti. È importante rilevare che il segno del coefficiente di regressione negativo delle rette interpolanti segnala una relazione di tipo inverso tra le variabili studiate: vale a dire che all’aumentare nel tempo della variabile demografica (grado di invecchiamento) corrispondono valori decrescenti dell’indicatore sanitario (tasso di ospedalizzazione). Si osserva quindi che considerato il valore negativo del coefficiente di regressione (-50,9) della figura 1, in cui la variabile demografica riguarda la classe di età da 65 a 74 anni e quella sanitaria corrisponde al tasso di ospedalizzazione (ricoveri per acuti in regime ordinario per 1000 abitanti) nella stessa classe di età, si verifica un deciso andamento decrescente della retta in questione. Una analoga tendenza, ma meno marcata, si riscontra nella figura 2 con la variabile demografica che riguarda la classe di età 75 anni e oltre, stante il segno negativo del coefficiente di regressione (-37,5) della retta interpolante. I risultati sopra delineati dimostrano che, nonostante l’invecchiamento della popolazione continui nel tempo, la diminuzione dei ricoveri per effetto del processo di deospedalizzazione permane. Ciò è dovuto anche al trattamento di un certo numero di casi meno gravi nelle strutture ambulatoriali. Mentre, come dimostra il valore più contenuto del coefficiente di regressione della figura 2, che riguarda gli ultra-settantacinquenni, la complessità e la gravità dei casi trattati, soprattutto per le età più avanzate, rende comunque più difficile la gestione dei pazienti in un setting diverso da quello ospedaliero.

Bisogna inoltre rimarcare come la riorganizzazione della rete ospedaliera dovrebbe andare di pari passo con la necessità di raggiungere un equilibrio tra il ruolo dell’ospedale e quello dei servizi territoriali, dovendosi adeguare agli stretti vincoli finanziari indispensabili per il contenimento della spesa pubblica complessiva.

Considerazioni conclusive

Oggi la fisionomia dell’ospedale sta mutando profondamente: da luogo di riferimento per qualsiasi problema di una certa rilevanza di natura sanitaria, e spesso sociosanitaria, ad organizzazione ad alto livello tecnologico, deputata e capace di fornire risposte assistenziali di tipo diagnostico-terapeutico a problemi di salute caratterizzati da acuzie e gravità. 

Le politiche di riorganizzazione della rete ospedaliera degli ultimi anni hanno di fatto contribuito alla diminuzione delle attività di ricovero ordinario, sia mediche che chirurgiche, che sono state in buona parte compensate con un incremento delle prestazioni ambulatoriali. 

L’emergenza sanitaria è intervenuta in un periodo di particolare debolezza del nostro Servizio sanitario nazionale, dovuta soprattutto ai molti interventi che nel corso dell’ultimo decennio hanno ridotto le risorse disponibili.

L’imprevista diffusione del virus e la sua aggressività hanno avuto un impatto significativo sul sistema sanitario pubblico; molti servizi sono stati ridimensionati, riorganizzati o completamente sospesi per far fronte alla gestione dei pazienti affetti da Covid-19. A ciò si è aggiunto il timore delle persone di contrarre l’infezione che ha spinto molti a rinunciare o a ritardare il ricorso alle prestazioni sanitarie di cui avevano bisogno. La conseguenza è stata un calo significativo delle prestazioni durante la pandemia, che rafforza la diminuzione osservata nei servizi negli anni precedenti, riflesso dei tagli alle risorse economiche, ai posti letto e al personale sanitario che hanno messo sotto pressione il sistema sanitario pubblico.

I dati presentati in questo lavoro mostrano una generale e chiara tendenza a livello nazionale verso una netta riduzione del tasso di ospedalizzazione della popolazione di 65 anni e più; questo dimostra che anche gli elevati “consumi” di assistenza ospedaliera della popolazione anziana, possono essere contrastati e compensati con modalità alternative di assistenza, e che l’invecchiamento della popolazione non deve necessariamente tradursi in una generale previsione di incremento dell’attuale livello di ospedalizzazione generale.

Alla complessiva riduzione del tasso di ospedalizzazione per i pazienti anziani, dovrebbe in maggior misura corrispondere l’attivazione di strutture territoriali, residenziali o semiresidenziali, in grado di far fronte alla domanda di assistenza sanitaria relativa a questa fascia di popolazione10. Inoltre, una migliore attenzione delle regioni all’attivazione ed al funzionamento dei servizi territoriali, di carattere socioassistenziale, permetterebbe di ridurre ulteriormente il ricorso all’ospedalizzazione per la popolazione anziana11.

In tale contesto è fondamentale un effettivo cambio di paradigma e riforme strutturali che guidino un sistema sanitario pubblico centrato su un ruolo ancora più forte dell’assistenza territoriale e su una diversa connotazione dell’assistenza ospedaliera, sempre più rivolta alle patologie acute ad elevato contenuto clinico-assistenziale e caratterizzata da modelli organizzativi in forte discontinuità con il recente passato12.

In particolare, le sfide che il nostro sistema stava affrontando prima della pandemia, e che continuano ad essere presenti e di basilare importanza, coinvolgono sia l’ambito clinico che quello organizzativo e normativo. L’invecchiamento della popolazione, la crescente prevalenza di comorbidità, la cronicizzazione di alcune patologie, comportano una necessaria revisione del modello di presa in carico del paziente anziano e una maggiore attenzione nell’individuazione dei setting più appropriati per migliorare efficacia ed efficienza dell’assistenza ospedaliera.


 Bibliografia

1. Camera dei deputati. La spending reviewsanitaria: le misure di contrasto ai disavanzi sanitari e i piani di rientro. Roma 2022. 

2. Ministero della Salute. Rapporto SDO, Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero. Roma anni 2010-2020.

3. Istat, “Annuario statistico italiano”. Roma anni 2000-2021.

4. Golini A, Lo Prete MV. Italiani poca gente. Il Paese ai tempi del malessere demografico. Luiss University Press 2019.

5. Istat, Impatto dell’epidemia sulla mortalità totale dellaNO popolazione residente nel 2020. Roma 2021.

6. Fosti G. Notarnicola E. Il futuro del settore LTC. Prospettive dai servizi, dai gestori e dalle policyregionali, Egea. Milano 2019.

7. Ministero della salute, prot. 18 dicembre 2021, n. 26081 – Pandemia da Covid-19: rafforzamento delle misure organizzative per la gestione dell’attuale fase epidemica.

8. Lega F, Mauri M, Prenestini A. L’ospedale tra presente e futuro. Analisi, diagnosi e linee di cambiamento per il sistema ospedaliero italiano. Egea, 2010.

9. Decreto-legge del 30 dicembre1992, n. 502. Riordino della disciplina in materia sanitaria.

10. Vetrano LD. (a cura di). Ministero della Salute. La continuità assistenziale nella long term carein Italia: buone pratiche a confronto. In collaborazione con la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria. Roma 2019.

11. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023. Roma 2021.

12. Ministero della Salute.A cura del Consiglio Superiore della Sanità.Invecchiamento della popolazione e sostenibilità del Servizio Sanitario. Roma 2022.

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